Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

lunga consuetudine con l'Orazio dei Sermoni) e a una sapiente medietà d'espressione, sì da evocare immagini di luoghi e di persone, affetti della propria vita, già filtrati da una pacata riflessione e letterariamente trasfigurati. Se nelle Rime è possibile cogliere, perciò, l'immagine dell'Ariosto umanista, nelle Satire invece è consentito rilevare il tentativo di un misurato e discreto autoritratto morale, contenuto nei limiti di una schietta bonomia, di una fermezza non eccitata e di una sensibilità tanto pronta e vivace, aperta e curiosa, quanto concreta e meditata, solidamente realistica3. Questa lunga citazione, della quale mi scuso, ci immette nel vivo della tonalità delle Satire: non appaia superfluo, tuttavia, sottolineare la sostanziale novità delle Satire nella produzione ariostesca, il loro porsi come dopo un discrimine, un salto, quasi una rottura con il passato: una rottura che consente, appunto, una riflessione «autobiografica» che è anche riflessione, in genere, sulla vita, colta nella sua realtà, così ricca di sfumature e anche di limiti oggettivi, ma saldamente ancorata entro un orizzonte etico e culturale aperto e consolidato dalla consapevolezza che qualcosa si lascia indietro, qualcosa, al contrario, si illumina e si chiarisce. Questo intreccio profondo tra etica e biografia avvicina le Satire ad altri testi rinascimentali, dai Ricordi di Guicciardini, agli Essais di Montaigne, ove esperienza vissuta, rimeditazione della grande cultura classica, critica consapevolezza della multiforme e contraddittoria realtà storica e umana, non si disgiungono - anzi meglio la consentono - da una illuminata fermezza di principi, di comportamenti, di giudizi. Del f a tto che la propria vita fosse a una svolta, e non soltanto pratica, esteriore, Ariosto aveva, nell'autunno 1517, piena consapevolezza. Io son de dieci il primo, e vecchio fatto 175

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