Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

potrebbe dire, alla pronuncia biblica: Io sono colui che sono. La parte conclusiva della frase, la parte significante, è caricata totalmente nel soggetto, ne determina la realtà. I tempi grammaticali non hanno più corso: non si tratta di un'azione confinabile nel passato, o nel presente, o nel futuro, ma dell'emergere intemporale di un soggetto. Io sono colui che scrissi, che scrivo continuamente me stesso. Se si vuole, per ironia, il vecchione, il vegliardo che terminerà, ossia non terminerà mai, la sua vita «con un libretto in mano come il mio defunto padre». Zl e Z2 non sono più distinguibili, si sono fusi per effetto della temporalità specifica dello scrivere, che può servirsi benissimo, altra ironia!, del passato remoto: «colui che scrissi». Scrivere non avrà allora solo la voce «media», per cui il soggetto della frase è nello stesso tempo l'agente e l'oggetto? «Scrivere» rastremabile sotto la sigla S, che è anche la lettera che, nella economia di questo discorso, serve a indicare Svevo- lo Svevo écrivain / écrivant. Questione d'etica Nella Coscienza di Zeno si racconta un sogno del protagonista sul quale forse non è stata proiettata tutta la luce che meriterebbe. È una fantasia di divoramento, in cui Zeno attua letteralmente una tipica metafora erotica: «mangiare di baci», divorando il collo di Carla, la prossima amante (ma qui poi bisognerebbe accertare davvero chi inghiotte chi...). Non è tanto il sogno, del resto, che interessa il mio discorso; piuttosto la risposta istintiva che Zeno dà alla moglie al risveglio, quando Augusta gli chiede che cosa l'abbia turbato: «Penso alla vecchiaia incombente». Non ci sono risposte senza motivo profondo, e per dir così ogni risposta arriva sempre a destinazione. Questa 169

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