Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

insomma, anfrattuosità come messa in sospetto. Potrei indicare dei passaggi nei quali emergono con qualche evidenza, mi pare, tali peculiarità di fondo (del profondo?) del discorso. Per esempio, il racconto dell'antico incidente di caccia col Cima, o «l'ultima relazione» con Felicita. Soprattutto l'intero capitolo «Il vecchione» con la diplopia mnemonica rispetto alla «figlia del vecchio Dondi» - e lo stacco è percepito come un'alterazione della luce «di questo mondo» improvvisamente «pervenuta attraverso un prisma». O, insinuerei, attraverso una seconda voce. Del resto, poche pagine dopo, Zeno racconterà un'altra esperienza ancora più esemplare: una gita sulle colline della Carnia. ... Scorsi una casetta ai piedi della collina e dinanzi ad essa un uomo che con vigorosi colpi di maglio piegava su un'incudine un pezzo di ferro. E come un bambino ammirai che il suono metallico di quell'incudine arrivava al mio orecchio quando il maglio da lungo tempo s'era risollevato per prepararsi a ripetere il colpo... Così Zeno racconta e riceve il proprio racconto minimamente variato, distaccato - effetto di isteresi. Ma il brano continua, a proposito del dissidio fra orecchio ed occhio: Poi intervenne la serietà del ricordo, la logica della mia mente a correggere il disordine della natura, e quando ora ripenso a quel maglio, immediatamente come esso raggiunge l'incudine, sento echeggiare il suono che esso provoca. Certo nello stesso tempo, qualche cosa dello spettacolo si falsò. Al disordine del presente si sostituì il disordine del passato... Il male si è che non annotai di quanti giorni quel presente avesse abbisognato per tramutarsi così. E se lo avessi notato non avrei potuto dire che questo: nella mente del set165

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