Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

scritta, o come sarebbe più esatto, secondo la deformazione fulminea di Joyce, traumscrapt, che fra l'altro rimanda ancora a ciò che è graffiato, all'abrasione di una superficie8. Insomma, la grammofonizzazione in questi testi di Svevo non è altro, alla fine, che il modo in cui la vecchiaia parla. Si potrebbe dire che è una voce disseminabile, riprodotta su qualche cosa che non coincide con Zeno e neppure con Svevo. Come già detto, è una voce che «stuona» -ma bisognerà poi intendersi sul vero senso di questa autodenuncia di Svevo. Vorrei fare un altro romanzo: Il vegliardo, una continuazione di Zeno. Ne ho steso varii capitoli che però tutti devono essere rifatti. C'è un certo suono falso che vi si insinua. Che sia l'incapacità del vecchio?9 Questa voce costruisce la maschera, o meglio il fantasma della vecchiaia di Zeno. Secondo la logica del fantasma, la sequenza «essere vecchio» è il verbo, il significante che dice il godimento; frase che si potrebbe anche trascrivere con «essere svincolato dai ruoli » o magari con l'òux{t' dvm dell'Edipo a Colono: «non essere più (nessuna persona)». La lamella che registra Ma questi testi sveviani, scritti non sulla vecchiaia ma attraverso la vecchiaia, non sono una tragedia: una commedia piuttosto o addirittura una farsa. «Intanto avrò riso di gusto una volta di più nella mia vita.. .»10 Biffures prestano un soccorso ben più che occasionale per accompagnare questo Svevo. Si può parlare anche qui di anfractuosités, i minimi intacchi che interrompono, senza peraltro distruggerla, la integrità della voce grammofonica: forse piccoli scoppi di risa, scricchiolii; 164

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