Il piccolo Hans - anno XX - n. 78 - estate 1993

termine grammofono non designa semplicemente un oggetto, non opera come simbolo ma inscrive nel testo il funzionamento del testo stesso. Il campo complesso in cui si colloca la questione-grammofono è il campo della voce. Si può partire da uno dei rilievi più pertinenti fatti da Lavagetto6 sulla «principale, la più suggestiva delle invenzioni di Svevo», appunto la voce di Zeno, che riconduce il lettore sempre al centro «là dove quella voce nasce, nella glottide di Zeno...»; e accompagnarlo in filigrana con alcune delle pagine di Miche! Leiris, intitolate a «Perséphone» in Biffures7 , dove si combina con ricchezza inaspettata di invenzione la concretezza, direi la manualità dell'oggetto e la catena etimologica. Così, l'omofonia terminale fra Perséphone e gramophone (e la sua variante graphophone) permette di scaricare sul secondo termine, attraverso l'associazione perce-oreille, perçant, non solo il valore di perforare (s'intende, l'udito) ma anche quello di incidere, di scalfire e insieme, così, di accedere a un «reame sotterraneo» - a un'iscrizione dura di qualcosa che altrimenti andrebbe perso. A questo punto non posso fare altro che rimandare a quanto il testo di Leiris continua a mettere avanti, instancabilmente. Questo, peraltro, non tocca che un aspetto di quel che indico come grammofonizzazione, la quale riguarda una voce non impostata o sostenuta, non semplicemente trasferita come sui vecchi cilipdri della Pathé o sui dischi, ma in un certo modo svincolata dalla glottide. Non si tratta di una voce «meccanica», piuttosto di una voce senza enunciatore precisato, senza soggetto. L'apparecchio dissitua la voce, moltiplicandone e confondendone le fonti; suo carattere è anche quello di una certa diffusività. Non solo i lettori, lo stesso Zeno si diverte ad ascoltarla, ad accompagnarla con le sue smorfie. «Grammofono» contiene l'idea di parola incisa - tra163

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