sensibile rende frustrato, lontano e impossibile. L'amore divino è una fiamma che non si estingue, una passione senza tempo, un'interminabile vocazione. C'è un tipo d'uomo nel quale Bruno si identifica, ed è quello raccontato nel celebre mito del cacciatore Atteone ripreso in un sonetto degli Eroici Furori, il cacciatore che restò abbagliato dalla figura della divinità che comparve sul suo cammino e «dovenne caccia». La favola antica, che, come per ogni neoplatonico, deve contenere nel suo racconto una più profonda verità, narra la vicenda che accade all'uomo cui l'anima configura il compito della conoscenza. Egli inizia il suo compito di ricercatore dei principi che rendono necessario ciò che l'argomentazione del suo raziocinio mette innanzi come spettacolo mentale, e, in questa ricerca, sono i principi intellegibili medesimi che catturano il ricercatore e ne fanno un uomo che, secondo l'antico motivo platonico, è morto all'esperienza comune. La conoscenza è un'avventura senza ritorno. E non è nemmeno un'avventura che in qualche modo possa essere moderata, procrastinata, ignorata, rimossa. La vicenda di Atteone, giovane cacciatore che si trasformò in preda, è un racconto che, nella sua sapienza più riposta, nella sua esemplarità, da sempre ha narrato qual è il destino di un filosofo la cui potenza dell'anima conduce alla dimensione della conoscenza. La potenza dell'anima è, secondo l'identificazione plotinica di Anima ed Eros, la forma d'amore che si impadronisce del filosofo. Questo è un tema che si ripete continuamente in Bruno dalle opere latine alle opere italiane, nel Sigillus, nella Lampas, come negli Eroici Furori. Non vi è quindi la possibilità di una procedura argomentativa e una ascesa dell'intelletto alla conoscenza dell'immagine dell'Uno nell'universo che non sia pari a una crescente febbre d'amore. È questa fondamentale radice amorosa, che coinvolge totalmente la figura stessa del filosofo, a decidere l'esperienza della conoscenza. 98
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