Il piccolo Hans - anno XIX - n. 75/76 - aut./inv. 1992-1993

prendere la sua grandezza quanto fia possibile discorrendo con gli occhi di regolati sentimenti circa questi magnifici astri e lampeggianti corpi, che son tanto abitati mondi e grandi animali ed eccellentissimi numi, che sembrano e sono innumerabili mondi non molto dissimili a quello che ne contiene; i quali, essendo impossibile ch'abbiano l'essere da per sé, atteso che sono composti e dissolubili (benché non per questo siano degni d'esserne disciolti come è stato ben detto nel Timeo) è necessario che conoscano principio e causa, e conseguentemente con la grandezza del suo essere, vivere ed oprare: monstrano e predicano in uno spazio infinito con voci innumerabili, la infinita eccellenza e maestà del suo primo principio e causa. Lasciando dunque... quella considerazione per quanto è superiore ad ogni senso e intelletto, consideriamo del principio e causa per quanto, in vestigio, o è la natura istessa o pur riluce ne l'ambito e grembo di quella. Ritroviamo in questo testo il filosofo che ha fatto proprio il copernicanesimo, ha dato dell'asino a chi voleva ridurre questa dottrina a una pura ipotesi matematica, lo ha letto, al contrario, come una filosofia naturale che, nell'epoca presente, fa rinascere il sole delle antiche cosmologie infinitiste e, infine, riprende la pittura visiva del lampeggiare del cielo e l'argomentazione del razionalismo classico, così inquietante per Cusano, secondo cui da un principio infinito non possono che derivare conseguenze infinite. Queste poche righe del De la causa sembrano ripetere il caso di un'omologia letteraria per cui da un qualsiasi elemento di un'opera si possono trarre le linee che conducono al suo disegno generale. Bruno, nei confronti della visione degli infiniti mondi, delle vite sconosciute che popolano l'aldilà di ogni nostro possibile orizzonte, ha un problema tipicamente filosofico: togliere questa narrazione da quella che potrebbe essere l'immaginazione di una favola, e mostrarne la neces94

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