È ancora Momo che parla, cioè il Bruno come parodiatore e beffatore di ciò che più è rispettato e sacro, tanto è vero che, all'inizio, fa un ulteriore accenno all'Eucaristia, parlando delle pietre che si trasformano, per opera di Giove, in pane, e del pane che si trasfigura in «qualch'altra cosa», che è formula particolarmente spregiativa. Ma, subito dopo, non meno violentemente parodico è l'elogio della caccia, come tipica occupazione di nobili e sovrani, di cui costituisce l'esemplare pazzia. È, appunto, un elogio antifrastico, tanto è vero che Momo ne indica con crudezza la specifica sostanza nel farsi carnefice di animali, ammazzandoli, scorticandoli, squartandoli e sbudellandoli. Siamo nello stesso ambito della parodia del petrarchismo. Il Bruno tocca subito la sostanza della questione, togliendole di dosso ogni maschera, ogni infingimento. Tutta la gloria della caccia consiste nel fare a pezzi gli animali, senza nessun'altra ragione che quella dello sfogo dell'insania dei potenti. Antifrasticamente Momo chiede a Giove, «padre santo», di fare un altro miracolo, non meno straordinario e incredibile di quello di trasformare le pietre in pani e i pani in «qualch'altra cosa»: trasfigurare, cioè, la Venazione in una virtù, in una santità, in una religione, così come in effetti è presso i sovrani e i nobili. È un paradosso, naturalmente, sullo stesso piano delle altre parodiche celebrazioni della vanità, delle stoltezze, delle insensatezze degli uomini. In più, il Bruno, attraverso il suo portavoce Momo, viene in questo modo a irridere a quelle che sono le precipue e preferite occupazioni di coloro che dovrebbero governare gli Stati. Le imprese che compiono consistono nell'accanirsi nell'ammazzare e nel fare a pezzi gli animali, poiché altro non è, nella sostanza, la caccia, e nulla in essa appare di eroico, di avventuroso, di grandioso. Giove, infatti, subito dopo rispondendo a Momo, accresce e acuisce l'irrisione: Benché, come l'esser beccaio debba essere stima70
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