Giovanni viene detto «voce che grida nel deserto» (Matteo 3,3; Marco 1,3; Luca 3,4; Giovanni 1,23). Anche qui è certo che il termine non si riferisce alla sostanza o alla natura del battezzatore. Giovanni viene detto «voce» in relazione al munus che svolse «predicando un battesimo di ravvedimento» e chiamando il popolo a fare penitenza. Se si tengono presenti anche solo questi due casi di traslazione che partono dalla consuetudine profetica che il nabf è il proclamatore autorizzato ovvero lo strumento legittimo di comunicazione della volontà di dio (cioè una bocca che articola la voce del signore), non c'è da meravigliarsi che uno scrittore di lingua e di cultura ebraica, usi l'appellativo verbum dei per indicare colui il quale con la sua parola aveva rivelato agli uomini - salvandoli -il disegno del padre. Insomma: come la bocca di Aronne e la voce di Giovanni Battista non indicano né la natura né la sostanza di Aronne e di Giovanni Battista, così il logos entra in campo esclusivamente in relazione al ministero esercitato dal messia e in questo senso viene usato dall'evangelista. Anche l'altra ragione avanzata dal Sozzini per spiegare il ricorso alla parola logos all'inizio del prologo non esce dalla volontà di fare retorica: Giovanni cerca di osservare la rispondenza o simmetria tra la parola creatrice del padre (genesi) e la parola creatrice del figlio (vangelo) per rimarcare la differenza radicale tra la parola che crea il mondo materiale e la parola che crea il regno spirituale. Se così stanno le cose (simmetria come sanzione d'una differenza), il tradizionale rapporto tra resft della genesi e Èv ÙQXfl del quarto vangelo va completamente disarticolato e rifatto: il discorso del padre ha dato vita alla materia; il discorso del figlio ha dato vita allo spirito (FEA 9). È solo a questo punto che la prima e la seconda versione dell'Explicatio ricominciano a concordare. E lo fanno dando un seguito pratico al discorso sopra la corrosione della lettura trinitaria del testo di Giovanni ad opera del55
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