vece-disarticolando il rapporto paritetico tra autorità e ragione che aveva fatto funzionare il discorso della prima generazione degli eretici italiani del Cinquecento e sopprimendo la relazione ben proporzionata tra scrittura e lettura che costituirà anche la base di manovra teorica della più matura teologia sociniana8 -abbandona l'uso della ratio nel processo di fondazione e di produzione della verità, e fa occupare interamente lo spazio preliminare della critica all'auctoritas della scrittura: «La loro idea dell'eternità del messia non è sostenuta in nulla e per nulla dall'autorità della scrittura (quod nulla seu veteris seu navi foederis authoritate eorum opinio fulciatur)»9 • Le conclusioni delle due impostazioni del discorso sono radicalmente diverse. Nella prima versione tutta l'argomentazione portata viene rigorosamente organizzata secondo le esigenze tecniche dettate dalla presenza della parola «ragione» intesa nel significato più semplice di dialectica o forse piuttosto presa come rationalis scientia se non come ars instrumentalis. Seguiamo lo schema approntato: «Non si dà principio senza un principio. Ma un principio è dato solo a quelle cose che possono avere un principio. L'eternità invece non ammette alcun principio. Anzi. Quando parlo di principio escludo di conseguenza e necessariamente l'eternità (FEI 16). Nella seconda versione, invece, è possibile osservare che il principio d'amministrazione formale del ragionamento viene lasciato in esclusiva gestione alla «autorità» della parola scritta. Controlliamo la frase che cancella e sostituisce il precedente schema della logica (potremmo dire) naturale: «Non troverai mai che, nelle sacre lettere, si confonda il principio con l'eternità» (FEA 6). Rinuncia sociniana alla forza della «ragione» nelle cose della religione? L'abbandono della «ragione» nel 1568 potrebbe essere facilmente ascritto a una caduta dell'impegno sociale ereticale di secolarizzazione e razionalizzazione del testo religioso della tradizione cristiana evidente nelle pratiche 42
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