Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

sangue del 9 gennaio, tutta Pietroburgo, sporca e gialla (come è sporca e rosa la Roma di Pasolini), costruisce sulle ossa degli operai. «Certe forre circolari colme di piante - e poi buchi senza fondo» brillano tra i cippi, come i terrapieni celaniani, scarpate, luoghi incolti, macerie (Bahndèimme, Wegrèinder, Odplèitze, Schutt). In basso, il croco calcareo (KalkKrokus) e i «lustrini minerali, giù nel tumulto, arcipadri» (Erzflitter, tief imi Aufruhr, Erzvèiter) brillano e fecondano. Questo Meridiano tutto novecentesco segna il passaggio dal Leopardi delle mummie di Ruysch alla voce di topo degli «hollow men», agli «ossi di seppia». Ed è l'ultima fase della caduta, della discesa, che Zanzotto, nel '53, riconosce nel presente di «Botta e risposta» e di Satura. Così, in questo Montale «la discesa doveva coincidere col restar travolti dal gorgo»; «la discesa verso la "cosa" doveva essere scontata fino a divenirle simili». Quando «doveva agire il buio che veniva da sotto i piedi dell'uomo», si impose la verità «terrosa» di quelle «realtà geologiche». Ci si ritrova, così, tra gusci, fanghiglie e frammenti di terra e pietra e «ogni storia finisce col coincidere con quella dei detriti fisici, con la geologia». In quest'«arcadia dell'orrido», Zanzotto legge - solidale in questo con il Meridiano di Celan - il persistere della poesia ai margini di se stessa, strappata a un mutismo più generale che la circonda e la fa sussistere fra un «non più e un sempre ancora». È il suo cammino novecentesco, stretto fra la testa di Medusa e l'automa (Meridiano): qui la poesia si muove all'insegna della geologia. In Celan e in Zanzotto la geologia è il correlativo di una mutazione antropologica: segna il punto di arrivo di un processo di abbassamento e cosificazione dell'uomo, che passa attraverso quella «presa di coscienza del trauma gravissimo che si presenta poi anche in termini filosofici nell'esistenzialismo» (Zanzotto, 1976). Ciò che Zanzotto 87

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