Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 74 estate 1992 Sergio Pinzi 5 Il nuovo patto Douglas Bremner 9 Memoria, stati dissociativi e disordine da stress post-traumatico Shoshana Felman 18 Poesia e testimonianza. Paul Celan, o il collassare dell'estetica Mario Spinella 36 Terra e guerra sul Don Mariarosa Mancuso 42 Colonizzare la guerra Paul Celan 51 Il meridiano Giorgio Maragliano 67 Una dimora oscillante Sul "Meridiano" di Paul Celan Osip Mandel'stam 78 Il mistero di sangue del 9 gennaio (con una nota di Maurizia Calusio) Ermanno Krumm 85 Dalla terra io Andrea Zanzotto 91 Due poesie Marco Munaro 95 Fascini dell'infanzia. Lingue e colori nella poesia di Andrea Zanzotto Marco Manotta 112 La tentazione della quadratura del cerchio: "Il Galateo in bosco" di Andrea Zanzotto Giuliano Gramigna 146 Epistola a Zanzotto sul "Galateo in bosco" Kurt Vonnegut 149 Il bombardamento di Dresda (con una nota di Stefano Rosso) Giuseppina Restivo 166 Da Dresda alle Galapagos Laura Sturma Fanelli 186 Il nome dei poeti LETTURE FREUDIANE Arcangelo Dell'Anna 199 Il presidente e l'uovo

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola a questo numero hanno collaborato: Paolo Bollini, Rossana Bonadei, Douglas Bremner, Maurizia Calusio, Paul Celan, Arcangelo Dell'Anna, Shoshana Felman, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Massimo Lollini, Mariarosa Mancuso, Osip Mandel'stam, Marco Manotta, Giorgio Maragliano, Marco Munaro, Giuseppina Restivo, Stefano Rosso, Mario Spinella, Laura Sturma Fanelli, Kurt Vonnegut, Andrea Zanzotto redazione: Via Borgospesso 8, 20121 Milano, tel. (02) 794515 editore: Moretti & Vitali editori, Viale Vittorio Emanuele 67 24100 Bergamo, tel. (035) 239104 abbonamento annuo 1992 (4 fascicoli): lire 60.000, estero lire 75.000, e.e. postale 11196243 o assegno bancario intestato a: Moretti & Vitali, Viale Vittorio Emanuele 67, 24100 Bergamo registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano coordinamento editoriale: Rodolfo Montuoro fotocomposizione e stampa: Grafitai, Via Borghetto 13, 24020 Torre Boldone (BG)

Il nuovo patto La nevrosi di guerra in tempo di pace è una forma di malattia sociale. Fa appello al medico quando un trombo minaccia o il livello del trombossano alza nel sangue la stessa marea che porta sulle spiagge dei sogni i rombi che abitano nell'acqua. Così, giunge, la nevrosi di guerra in tempo di pace, a sfidare gli psicoanalisti a riconoscervi un nuovo tipo di nevrosi portatrice di un complesso di sintomi che richiedono un affinamento del loro ascolto. Questi sintomi riguardano le stesse cose che la guerra sottopone a lesioni e distruzioni e che il nevrotico di guerra tenta incessantemente di ricostruire: le case che la guerra bombarda e il nevrotico costruisce e ricostruisce; gli oggetti che la guerra rovina e rapina e che il nevrotico economizza e cura amorosamente; il nutrimento, il vestiario, i viaggi che nella ripetizione traumatica sembrano riprodurre il tormento della tessera e della deportazione. Nel suo corpo, le cellule. Ma questo nevrotico non è mai stato in guerra. Ciò che segna il suo apparato psichico è il passaggio di qualcosa che lo precede. La "pace", come il silenzio del pesce, è allora la memoria del trauma. Molte automobili vivacemente colorate entrano non si sa come nel nuovo appartamento che una donna che sogna non ha ancora cominciato ad abitare e avanzano in file parallele fino al giardino che si apre oltre l'ultima finestra della casa. Le auto erano la passione del padre. E 5

sono loro che attraversano quel luogo cintato che riappare nel sogno e che è il tratto di terra che ha ospitato al tempo del costituirsi del soggetto la prima rappresentazione dell'apparato psichico della figlia. Le auto hanno colori artificiali, metallici e filano, muovendosi in colonna, una sorta di bandiera a strisce. Un uomo sogna invece di ricevere, presente la sorella che è quasi l'unica superstite di una famiglia colpita da molti lutti, una cartolina che ha come soggetto delle semplici strisce colorate. Egli le descrive come bicolori, ma poi le dice multicolori, e precisa che c'è del rosso, cupo. Queste strisce gli piacciono molto. Volta la cartolina e osserva che dietro non c'è scritto niente. Ricorda di aver preso il giorno prima in un caffè una cartolina che sotto la riproduzione di una vecchia veduta cittadina recava la scritta: "La Scala e il Cova nell'Ottocento". Aggiunge con molta esitazione che la sorella gli aveva parlato di una donna, con cui egli aveva avuto una relazione tra un viaggio e l'altro, e il cui cognome, che preferirebbe tacere, evoca il campo della Magia: la scritta si è mutata in strisce. Le strisce sulla cartolina, stendono, attraverso lo spazio, sul mondo la bandiera che unisce, mediante una Scala (cromatica o canora), le relazioni sessuali del figlio al godimento del padre cui il titolo al maschile del Cova rimanda, in presenza di tutti i frutti, lui e la sorella, delle sue covate. La "Magia" del sogno dà corpo a un padre-madre che gode ancora dopo la morte. Le strisce uniscono il soggetto al luogo della sua origine come delle tracce seminali, e le avevamo collocate, con le macchie, in quella lunga scala che ci ricollega a specie scomparse, a un antenato, dissimile che le portava, che sono rimaste su taluni animali, le zebre, i cani dalmati o che si sono formate per cause belliche, sulle farfalle, comparendo all'improvviso nei sogni di un nipote che s'interroga sul padre primordiale. Come in un vecchio film di fantascienza, Drieu La Rochelle, ossessionato dalla scala delle percentuali di sangue 6

ebraico nelle vene di un ariano (1/2, 1/5, 1110), attribuisce al transito di una nuvola di "sperma ebraico" l'ingravidamento delle numerosissime donne nelle cui vene è contenuta qualche particella percentuale del sangue della razza odiata. Arrivano i tedeschi e crescono le stature, imbiondiscono i capelli. Fuggono gli ebrei e nei sogni dei popoli che li hanno accolti rimangono, anche dopo che li avranno scacciati o uccisi, le tracce dei loro colori. Dai campi di colore nei sogni (il giallo, come mostrerò presto, segno di un passaggio ebraicoj si decifrano le insensibili "ferite di terra", "traumi di luce" cui ogni passaggio dà luogo. Basta calpestare un suolo perché si trasformino gli abitanti. Attraversamenti spirituali determinano mutamenti nella razza. Se questo passaggio è sanguinoso, come in una guerra, i nipoti si muoveranno nella vita in modo da tracciare, quasi punte di matita agitate da un medium, un disegno cui i loro sogni aggiungeranno i colori di una nevrosi traumatica di guerra. Sono questi colori a rendere leggibile il disegno altrimenti ripetitivo e smarrito di un'esistenza angosciata di non lasciare testimonianza né storia. I baby boomers, nati come si sa dopo la seconda guerra mondiale, tra il 1946 e il 1964, passano come una lunga stria colorata negli anni che hanno visto le fasce delle bandiere militari prolungate nelle strisce in cui la televisione scompone e ricompone la realtà. I loro sogni parlano sovente di strisce, strisce nel paesaggio e negli abiti, strisce sugli animali e sugli accessori, strisce sulla città e sui volti, nelle case e nel sangue come nel romanzo di JanMcEwan, figlio ultrapacifista di un militare, Cortesie per gli ospiti. Ignare della realtà che non hanno vissuto, l'esperienza bellica dei genitori, e che è stata in un certo senso inoculata in loro con l'atto stesso della generazione, queste generazioni sono apparentemente prive di memoria giacché 7

la incarnano: schiacciate sull'immediato e sul remake dell'oggi, trovano un correlativo artistico nella pittura a "campi di colore" di Newman o di Rothko o nelle bandiere di Jasper Johns. Il rock, prodotto all'origine damusicisti colpiti piccolissimi dal fragore dei bombardamenti, quel fragore che manca al rombo silenzioso (disegnato) dei sogni traumatici, il rock è stato forse il tentativo di ristabilire il vincolo tra suono e immagine, significante e significato, di non subire la prepotenza di un'eredità, di non permettere che si incisti nel silenzio. Questo vincolo è un patto. Alla base di questo patto sta la possibilità che una "buona contrazione", come la chiamava Giordano Bruno, ci permetta di ritrovare "Dio nelle cose", di trattare il sogno come un testo sacro (Freud), di ritrovare dio in una cipolla (ancora Bruno) o di fare delle lettere del nome proprio i mattoni della creazione (Cabala ebraica). Di scoprire ciò che il cristianesimo ha mostrato dimenticandolo, sui muri dei cimiteri o sulle facciate delle chiese, e l'ebraismo ha in un certo senso nominato e cioè che le strisce appartengono al padre. Shèma Israel, impara, raccomanda Dio nella più importante delle preghiere ebraiche, "Ascolta': a riconoscere nelle frange che orlano il tuo vestito, strisce come i tefillin o le bende impresse sulla fronte, il patto che lega invece la pace alla regolazione del godimento. Ma la distruzione avvenuta del popolonemicodegli idoli potrà ancora permettere ai "residui ebraici nei sogni" di ritrovare il senso perduto in quelle che ci appaiono come arcaiche assurdità religiose? E potrà mai finire per noi l'assurdità di godere, come nel sogno della donna, di essere invasi e attraversati nell'intimità del corpo fin oltre la finestra dell'anima da un godimento alieno, o di godere di ricevere, come nel sogno dell'uomo, dispacci privi di testo e di mittente? Sergio Pinzi 8

Memoria, stati dissociativi e disordine da stress post-traumatico Fin dagli inizi della moderna psichiatria si è notato un forte interesse per le connessioni tra memoria e stati dissociativi. L'ipnotismo era uno dei momenti centrali della ricerca fin dal diciassettesimo secolo. I primi psichiatri impegnati nello studio dell'ipnotismo hanno notato l'esistenza di un rapporto tra ipnotismo e il fenomeno che oggi è conosciuto come dissociazione. Essi hanno osservato anche che soggetti sottoposti a ipnosi potevano ricordare in condizione di ipnosi eventi accaduti molto tempo addietro. Queste memorie «ipnotiche» non potevano essere ricordate durante gli stati normali di veglia 1. Sembrava che ci fosse più di un tipo di memoria, e che le memorie immagazzinate durante uno stato ipnotico o dissociativo potessero essere recuperate solo attraverso un ritorno alla condizione originale di ipnosi o di dissociazione mentale. Anche se la storia della ricerca nell'area dell'ipnosi è vecchia come la storia della stessa psichiatria, la formazione della dissociazione rimane uno dei fenomeni meno caratterizzati nella psichiatria. Lo sforzo di caratterizzare la sintomatologia dei fenomeni dissociativi veniva indicato una volta come la «Fata Morgana» della ricerca psi9

chiatrica. Questa difficoltà di individuare gli elementi necessari per una corretta definizione del fenomeno si mantiene anche oggi. Lo studio dell'ipnotismo e della dissociazione è culminato con Pierre Janet, che ha osservato una relazione tra i sintomi dissociativi e l'esposizione a un grave trauma. Janet, che operava alla fine del diciannovesimo secolo, ha descritto pazienti con sintomi di memorie intrusive, emozioni inibite, che cercavano di evitare qualunque riferimento al trauma, ed erano colpiti da disturbi nel sonno, irritabilità, e altri sintomi che attualmente formano i criteri descritti nel Manuale Diagnostico e Statistico (III R.) per il disordine da stress post-traumatico (PTSD). Gli studi recenti evidenziano una relazione tra trauma e dissociazione. Queste ricerche sono accompagnate dal rinnovato interesse per il lavoro di Janet. Una storia della tendenza agli abusi contro l'infanzia è stata associata all'intensificarsi dei sintomi dissociativi. Si è scoperto che pazienti colpiti da un disordine da stress post-traumatico associato alla guerra sono più facilmente ipnotizzabili, e presentano livelli più elevati di sintomatologia dissociativa in confronto ai veterani privi di questo disordine e ai soggetti normali. Inoltre, sembra che i veterani con PTSD abbiano sperimentato stati dissociativi proprio durante il combattimento che fu per loro più traumatico, mentre i veterani senza PTSD non avevano avuto questa esperienza. Cosicché i primi rivivono continuamente queste esperienze di guerra nella forma di flashback e di memorie intrusive. In questo saggio presento un caso di un veterano del Vietnam con PTSD associato alla guerra, in cura al Centro Nazionale per il Disordine da Stress Post-Traumatico, Divisione della Clinica Neurologica, parte dell'Ospedale per veterani in West Haven, Connecticut. Il mio scopo è quello di illustrare la relazioneesistente tramemoria, dissociazione e disordine da stress post-traumatico. 10

Sono convinto che questo caso descriva la fenomenologia dei sintomi dissociativi meglio di qualunque libro di testo. In questo caso risulta anche evidente la relazione tra la dissociazione sperimentata al momento del trauma originale, la memoria, e i continui stati dissociativi conseguenti al riemergere nella memoria di elementi associati al trauma. La storia di G. G. è nato e cresciuto in un piccolo paese del Connecticut. A diciotto anni è entrato nella Marina ed è stato inviato in Vietnam in un reparto coinvolto nel combattimento attivo. Era membro del Centunesimo Cavalleria, Divisione del Generale Custer. Nel 1969, durante un'operazione di pattuglia nel Vietnam il gruppo di G. fu attaccato, e i suoi migliori amici Tommy, Bush e Bobby furono uccisi. Bobby ha camminato su una mina che gli ha distrutto le gambe e gettato il resto del corpo su G., buttandolo a terra. Poi i Viet Cong hanno cominciato a sparare. Hanno colpito Bush in faccia. G. vedeva accadere tutto questo come al rallentatore. Ha visto il suo braccio muoversi, e, soprattutto, ha visto il riflesso del suo orologio. Poi ha visto Billy con una pallottola in testa: aveva una strana espressione, con un occhio fuori dalla cavità. G. ha descritto l'evento in questo modo. Billy gridava. Io lo tenevo tra le mie braccia, cullandolo. Mi ha detto di dire a sua madre che gli dispiaceva, e che il suo dolore era terribile. Poi mi ha detto di sparargli, e io l'ho fatto. Mi sembrava che l'evento fosse accaduto molto tempo prima. C'erano momenti in cui non riuscivo a seguire quello che stava accadendo, e durante l'evento accadevaq.o cose che in seguito non potevo spiegarmi. Dapprima le cose divennero estre11

mamente luminose, come in un campo da baseball illuminato di notte, poi, improvvisamente i colori sono diventati molto opachi come se osservassi il mondo attraverso una coltre di nebbia. Sembrava come se stessi guardando le cose da un tunnel, o da un binocolo rovesciato. Udivo i lamenti dei miei amici morenti, ma il suono era prolungato, come se venisse da lontano. Le cose non sembravano vere, mi sembrava di essere in un sogno, o di guardare la situazione dall'esterno, come un osservatore. Mi sentivo distaccato dal corpo, come se potessi guardarmi, e vedere le mie reazioni. Il mio corpo si sentiva molto più grande del normale, gigantesco, e pensavo che sarei stato colpito da una pallottola. Mi sentivo come «in stato di shock». Cominciai a sparare e a gettare granate, mi sentivo come se volessi morire, per stare con i miei amici. Poi si mise a piovere. Gli elicotteri non riuscivano a raggiungerci. Siamo rimasti con i corpi tre giorni, in modo che i topi non potessero avvicinarsi. I corpi cominciavano a fare cattivo odore. Ho avuto un «crollo nervoso». Sentivo che non avrei potuto più andare avanti, e che sarei stato messo in un ospedale psichiatrico. Avevo preso la testa di un Viet Corig e uno psichiatra mi aveva offerto in cambio 100 dollari2. Ho spedito la testa a casa e ho disertato. Mi hanno mandato di nuovo a combattere, e dopo questo mi sentivo come se niente fosse vero. G. guardava fuori dalla finestra del mio ufficio a New Haven. Ha detto: «Sembra una città in miniatura. Mi hanno rotto. Mi sono rotto». La prima volta che G. ha rivisto i suoi amici morti era il 1974. Faceva uso di penciclidina («phencyclidine»), e improvvisamente li ha visti. Li pensava spesso, li vedeva nella mente. Aveva costruito la propria casa vicino ad una montagna. Era il crepusco12

lo, e stava seduto sulla veranda. C'era un campo dietro la casa. I suoi amici morti erano lì, in pattuglia, camminavano in uniforme da combattimento. G. comincia a chiamarli. Sua sorella chiede: «Chi stai chiamando?». Lui risponde: «chiamali, possono ritornare». Ricordava lei che sulla veranda chiamava i suoi amici morti per lui, anche se non riusciva a vederli. G. ha detto: «Di solito li vedo a Natale. Vengono a trovarmi, e mi chiedono come stanno le loro famiglie. Io rispondo che non lo so. Questo mi rovina il Natale». G. sedeva in cantina e beveva con i suoi amici morti. Un giorno entrò in casa, loro stavano seduti là. Tutti insieme bevvero un'intera cassa di birra. Gli hanno detto di ritornare in Vietnam con loro, che sarebbero stati di nuovo insieme. Avrebbero combattuto di nuovo insieme. Ma questa volta avrebbero vinto la guerra. Avevano l'odore del delta del Mekong, un odore umido. Hanno detto che se G. non voleva andare, gli avrebbero ucciso la moglie e la bambina. Lui non voleva andare, ma loro l'hanno convinto. G. allora prese molta cocaina per uccidersi. In questo modo pensava di raggiungerli. Poi si è svegliato, solo. G. era in casa di sua sorella, stava camminando nel cortile dietro la casa. Gli sembrava una zona di atterraggio. Aveva la sensazione di camminare attraverso una bolla di sapone. D'un tratto sentì il rumore di uno stormo di elicotteri, sua figlia corse fuori, lo abbracciò chiedendogli cosa c'era, forse sentiva gli elicotteri? Lui risponde: «Sì, tu non li senti?». Lei dice: «Lasciali atterrare, non andare via con loro». Poi è andato fuori, è salito sulla macchina. Allora ha visto i suoi cari amici morti. Billy stava seduto vicino a lui. Era giovane, con le lentiggini, aveva solo diciott'anni. Ha cominciato a guidare. Bobby e Bush erano nel sedile posteriore. Non dicevano niente. Erano come zombies. Vestivano uniformi da combattimento, e i loro volti erano molto bianchi. Si vedevano le loro len13

tiggini, come se risplendessero. G. si diceva che tutto ciò non era vero, e che era solo nella sua mente. Non parlavano, ma sentiva che poteva leggere nelle loro menti. Ha avuto paura. Erano rimasti con lui molto tempo, e lui cominciava ad avere paura di loro. Allora Billy ha afferrato il volante e l'ha staccato. Lamacchina è uscita di strada entrando in un giardino. G. si sentiva leggero, cominciava ad avere problemi a respirare. Poi tornò a casa: ha parcheggiato la macchina ed è corso dalla sua ragazza3 • Ha detto: «Falli uscire dalla mia macchina». Lei è andata, ha guardato e ha detto che non c'era nessuno nella macchina. Discussione Questo caso di un veterano del Vietnam, che presenta un disordine da stress post-traumatico e i principali sintomi della dissociazione mentale, è stato presentato per illustrare la relazione tra trauma, memoria e stati dissociativi. Questo paziente dimostra la relazione esistente tra dissociazione al momento dell'evento drammatico originale e episodi ripetuti di dissociazione dopo il trauma originale. Inoltre questa storia ci mostra la gamma completa della sintomatologia dissociativa, compresa l'amnesia, la depersonalizzazione, distacco dal reale, e disturbi di identità. L'amnesia consiste in vuoti della memoria che non possono essere spiegati con l'oblio ordinario. L'amnesia per eventi legati a fatti di guerra è stata osservata in soldati esposti a traumi estremi a partire dalla prima guerra mondiale. Questo tipo di paziente ha vuoti di memoria, durante la vita quotidiana, che possono durare minuti, ore, o giorni. Può anche arrivare a dimenticare importanti dati personali, come età, nome, indirizzo. L'amnesia è spesso connessa in qualche modo all'evento traumatico originale. Il distacco dalla realtà è l'esperienza dell'estraneazione dalle cose che ci circondano, o dalle persone che ci so14

no familiari. Per esempio, in questo caso, G. ha riportato eventi al rallentatore intervenuti durante l'esperienza traumatica del vedere i suoi amici mentre venivano uccisi. I colori sembravano molto luminosi, poi opachi. Gli sembrava di guardare da un tunnel, e poi come se fosse immerso nella nebbia. Queste metafore sono usate comunemente per descrivere esperienze di dissociazione. La depersonalizzazione comporta distorsioni nel modo di sentire il proprio corpo. G. rappresenta un'interessante variazione nel processo di depersonalizzazione: la visualizzazione dei suoi cariamici morti. A lui gli amici morti sembravano immagini reali, come se nella stanza ci fossero persone vere. Nel nostro lavoro con pazienti con disordine da stress post-traumatico abbiamo notatoche questi flashback coinvolgono sempre qualcosa che è accaduto veramente, un evento traumatico compresso nella memoria del paziente. Il lavoro del Centro Nazionale per le ricerche in questo campo ha messo in evidenza anormalità biologiche in questi pazienti, come la deregolazione del sistema noradrenergico. Inoltre, la nostra ricerca suggerisce che questi pazienti possano avere una riduzione del volume dell'ippocampus, che è una struttura del cervello che ha a che fare con la memoria. Sembra che un trauma estremo possa dar vita nei tempi lunghi a cambiamenti nella struttura e nella funzione del cervello, come risulta dai sintomi del disordine da stress post-traumatico. Quello che non è chiaro, e su cui occorre ancora lavorare, è la relazione tra la memoria normale e le memorie «intense» che sarebbero considerate proprie di un evento estremamente violento, e che, come noi suggeriamo, possono essere un fattore destabilizzante dei sistemi della memoria. Douglas Bremner Traduzione di Massimo Lollini 15

NoTE 1 Ellenberger H.F., The Discovery of the Unconscious, New York, Basic Books, 1970 [frad. it., La scoperta dell'inconscio, Torino, Boringhieri, 1972]. 2 È un gesto di vendetta, perché i Vietnamiti credevano che se la testa non rimane vicino al morto, il suo spirito non sarà felice. L'atteggiamento dello psichiatra aveva un valore terapeutico. Sono precisazioni necessarie in questo racconto terribile in cui la distinzione tra realtà e sogno sembra venir meno. 3 G. ora è divorziato. BIBLIOGRAFIA Ellenberger H.F., The Discovery of the Unconscious, Basic Books, New York, 1970 [Trad. it., La scoperta dell'inconscio, Torino, Boringhieri, 1972]. Janet P., L'automatisme psychologique, Paris, Ballière, 1889. Nemiah J.N., Janet Redivivus: the centenary of "L'automatisme psychologique", «Am. J. Psychiatry», 146, 12, pp. 1527-1530, 1989. Van der Kolk B.A. - Van der Hart O., Pierre Janet and the breakdown of adaptation in psychological trauma, «Am. J. Psychiatry», 146, 12, 1989. Chu J.A. - Dill D.L., Dissociative symptoms in relation to childhood physical and sexual abuse, «Am. J. Psychiatry», 147, 7, pp. 887-892, 1990. Spiegel D. - Hunt T. - Dondershine H.E., Dissociation and hypnotizability in post-traumatic stress disorder, «Am. J. Psychiatry», 145, pp. 301-305, 1988. Stutman R. - Bliss E., Post-traumatic stress disorder, hypnotizability, and imagery, «Am. J. Psychiatry», 142 (6), pp. 741-743, 1985. Bremner J.D. - Southwick S.M. - Rosenheck R. - Brett E. - Fontana A. - Charney D.S., PTSD and dissociation in Vietnam combat veterans, «American Psychiatric Association Annual Meeting New Research», 185, New Orleans, L.A., 1991. Loewenstein R. - Putnam F., A comparison study of dissociative symptoms in patients with complex partial seizures, MPD, and PTSD, «Dissociation», 1, 4, pp. 17-23, 1988. Grinker R.R. - Spiegel J.P., War Neuroses inNorth Africa, New York, Josiah Macy Jr. Foundation, 1943. Fisher C., Amnesie states in war neurosis: the psychogenesis of fugues, «Psychoan. Quart.», 14, pp. 437-458, 1945. 16

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Poesia e testimonianza Paul Celan, o il collassare dell'estetica Mezzo secolo dopo Mallarmé, un altro poeta, a Parigi, intraprende a scrivere, ma stavolta in tedesco, una poesia che drammatizza un'altra, più acuta e più aspra crisi della versificazione, che, a sua volta, espone e persegue un «collasso», esplora un altro tipo di cataclisma storico, e si rende testimone di un'altra «crisi fondamentale» - uno scarto fondamentale del pensiero e dell'essere-, e che non deriva stavolta dal rinnovamento innescato da una rivoluzione, ma dalla distruzione e dalla devastazione messe in atto dalla Seconda Guerra Mondiale e dall'Olocausto1 . Con un'esplosione, ripetuta - e sulle orme della lezione pensata da Mallarmé -, della stessa sostanza poetica, dislocandone la lingua, e spezzandone il verso, la poesia di Paul Celan rende testimonianza, in modo effettivo, e non semplicemente nel modo indefinito e generico in cui vi si riferisce Mallarmé, di un "collasso", di una più precisa, e particolare frammentazione e di una più recente frattura culturale e storica, del fortissimo trauma, individuale e comune, di una perdita catastrofica e di un destino disastroso, nel quale nessuna grammatica può più tradurre collasso, se non forse nella forma stessa della 18

sopravvivenza del poeta. La crisi del verso mallarméana è arrivata, a questo punto, all'espressione concreta e precisa della particolare realtà storica di Celan, e della sua esperienza di frantumazione letteraria in quanto sopravvissuto all'Olocausto. La frattura del verso decreta la frattura del mondo. Come Mallarmé, testimone del collasso, Celan, testimone della catastrofe, è anch'egli un viaggiatore, un testimone-pellegrino, e la sua poesia è una ricerca, attraverso la testimonianza, della direzione oscura, e dell'approdo sconosciuto del suo viaggio. Ho scritto poesie - dice Celan - per fare in modo di parlare, per orientarmi, per esplorare dove mi trovassi e dove stessi andando, per farmi uno schizzo esterno della realtà2 • In maniera diversa da Mallarmé, che porta delle «sorprese» in Inghilterra, in qualità di «viaggiatore invitato» («un viaggiatore invitato che, sollecito fino a rimanere senza fiato, si sgrava della testimonianza di un collasso che continua a inseguire»), il testimone di Celan, invece, non è un viaggiatore «invitato», ma piuttosto espulso: uno il cui viaggio è stato originato dalla coazione della deportazione, in mezzoalle doglie di un'eiezione dal proprio paese natale. Paul Ancel - che dopo la guerra volle chiamarsi, con un'anagramma, Celan - nacque da genitori ebreo-tedeschi nel 1920 a Czernowitz, in Bucovina, regione settentrionale della Romania. Nel h,lglio 1941 un Einsatzgruppe delle S.S., affiancato da truppe rumene, cominciò la distruzione della comunità ebraica di Czernowitz. Nel 1942 i genitori di Celan furono deportati in campo di concentramento. Paul Celan riuscì a sottrarvisi, ma fu inviato in un campo di lavoro forzato, dove scavò pietre e tra19

sportò macerie per diciotto mesi. L'unica lettera che Paul ricevette da parte della madre lo informava che suo padre, ormai stremato, era stato ucciso dalle S.S. Qualche mese dopo Paul venne a sapere da un cugino scampato che anche sua madre era stata assassinata con un colpo di pistola alla nuca. Come risulterebbe da una ricostruzione di un giornale tedesco della fine degli anni '70, Celan, al campo, sfuggì all'esecuzione (in modo oscuramente magico, proprio come Dostoewskij) scavalcando una linea tracciata per terra, e cambiandosi di posto in extremis, da un gruppo già inquadrato per andare a morire, a uno destinato al lavoro servile. Nel 1944 Celan torna a Cernowitz, nel frattempo liberata dalle truppe sovietiche. Dopo la guerra si trasferisce a Bucarest, quindi a Vienna, e finalmente si stabilisce a Parigi nel 1948. Le sue traduzioni poetiche dal francese, dall'inglese e dal russo in tedesco si accompagnano alla pubblicazione della sua opera poetica personale, per la quale consegue prestigiosi premi letterari e un apprezzamento immediato della critica nel mondo germanofono. Nell'aprile 1970, all'età di quarantanove anni, Paul Celan si suicida gettandosi nella Senna. Nonostante la sua padronanza di molte lingue e la conoscenza di molte letterature, nonostante la sua scelta di vivere a Parigi e di mescolarsi alla cultura francese, Celan nòn ·poté smettere di scrivere in tedesco. «Non credo nella poesia bilingue», disse per rispondere alle domande sulle sue scelte linguistiche. «Poesia vuol dire: la fatale unicità della lingua»3 • Al suo biografo Israel Chalfen, Celan spiegò la sua fedeltà al tedesco in questo modo: «Solo con la lingua della propria madre si può esprimere la propria verità. In lingua straniera, il poeta mente»4 • E tuttavia questo legame con la lingua della madre5 , questa intima connessione all'eredità verbale della madre perduta, intesa come la sola lingua nella quale la verità - 20

l'unica, personale, verità - può darsi come innata, è anche un'indissolubile e insostenibile connessione con gli assassini dei genitori, una sottomissione alla lingua stessa dalla quale originano la morte, l'umiliazione, la tortura e la distruzione, come per un verdetto di annientamento personale. Perciò la scrittura poetica di Celan lotta con il tedesco, per annientare il proprio annientamento inscritto in esso, per riadattarsi la lingua che ha segnato la propria esclusione: le poesie disconnettono la lingua, per riplasmarla, spostandone in modo radicale gli assunti semantici e grammaticali, per rifare - in modo creativo e critico - un nuovo linguaggio poetico, tutto interamente di Celan. La crisi mallarméana della lingua diviene qui impegno vitale - e sforzo critico - per redimere e riappropriarsi della lingua nella quale la testimonianza deve (e non semplicemente e acriticamente: può) essere resa. Questo lavorare radicale e necessario, insieme attraverso la lingua e la memoria, avviene mediante una lotta poetica e linguistica disperata, per riadattarsi precisamente la lingua stessa della propria espropriazione, per redimere il tedesco dal suo passato nazista e recuperare la lingua della madre - l'unico possesso di chi è depossessato - dall'Olocausto che essa gli ha inflitto. «Questi - dice Celan - sono gli sforzi di uno... talmente privo di riparo quanto finora non fu nemmeno possibile immaginarsi..., che con tutto il proprio essere va verso la lingua, afflitto dalla realtà, e insieme in cerca di essa»: Sotto tiro, vicino, non perduto, rimase, nel mezzo delle cose perdute, solo questa cosa: la lingua. Questa cosa, la lingua, non si è perduta, ed è rimasta, sì, a dispetto di tutto. Ma è dovuta passare attraverso il suo non poter rispondere, passare attraverso lemigliaia di tenebre dei discorsi che portano la morte. Ci è passata attraverso, ma non ha saputo rendere in parole quel che stava succe21

dendo - eppure c'è andata in mezzo, a quel che stava succedendo. C'è andata in mezzo, ed è stata in grado di tornare di nuovo alla luce del sole, "arricchita" da tutto ciò. In questa lingua ho cercato, allora e negli anni che sono passati da allora, di scrivere poesie - per fare in modo di parlare, per orientarmi, per esplorare dove mi trovassi e dove stessi andando, per farmi uno schizzo esterno della realtà. Questo, vedete, era evento, movimento, uno stare sottotraccia, un tentativo di recuperare una direzione. E se dovessi rispondere sul significato di questa, direi che sarebbe come chiedersi il significato della lancetta dell'orologio. ...Questi sono gli sforzi di uno cui sono scorse sopra le stelle di ciò che l'uomo sa fare, uno talmente privo di riparo quanto finora non fu nemmeno possibile immaginarsi, e in questo modo del tutto misteriosamente espulso all'esterno, che con tutto il proprio essere va verso la lingua, afflitto dalla realtà, e insieme in cerca di essa [wirklichkeitswund und Wirklichkeit suchend]. (Brema, discorso, 1958) Andare in cerca della realtà significa insieme disporsi a esplorare il male da essa inflitto - rivoltare e cercare di penetrare la condizione di afflitto, di ferito dalla realtà [wirklichkeitswund] - e al tempo stesso tentare di riemergere dallaparalisi di questa condizione, per impegnare la realtà come un venire incontro [Wirklichkeit suchend], un movimento, e come una necessità vitale, e critica, di metterla in circolo. È oltre il trauma d'essere afflitto, ma nondimeno è da dentro la ferita, e dall'interno dell'essere feriti, che l'evento, sebbene possa essere incomprensibile, diventa accessibile. La ferita dà accesso alle tenebre nelle quali la lingua deve inoltrarsi e che deve attraversare nel suo passaggio il proprio «spaventoso ammutolimento». Andare in cer22

ca della realtà attraverso la lingua «col proprio stesso essere», cercare nella lingua ciò cui la lingua deve precisamente passare attraverso, questo significa dunque fare del proprio «esser privo di riparo» - dell'esposizione e dell'accessibilità delle proprie ferite - un mezzo inatteso, senza precedenti, per una realtà accedente, la condizione radicale di un'esplorazione in grado di estorcere la funzione testimoniale, e il potere di testimonianza della lingua: significa consegnare alla realtà la sua stessa vulnerabilità, come la condizione di un'eccezionale disponibilità, e di un'attenzione resa estremamente sensibile, e in sintonia con la relazione fra lingua ed eventi. Una poesia che tenta di sondare precisamente questa relazione fra lingua ed eventi è Todesfuge («Fuga di morte»), la prima poesia pubblicata da Celan, scritta verso la fine del 1944, in prossimità dell'emergenza della devastante esperienza di guerra del poeta. La poesia drammatizza ed evoca l'esperienza di un campo di concentramento, ma non in modo diretto ed esplicito, e comunque non attraverso uno svolgimento narrativo lineare, di confessione personale o di riproduzione testimoniale, ma in modo ellittico e circolare, attraverso l'arte del contrappunto, polifonica ma ironicamente disarticolata, e attraverso ripetizioni ossessive, coatte, e l'esplosione vertiginosa di una canzone folle, i cui lamenti - per metà blasfemi e per metà oranti - bruciano improvvisamente in un grido inarticolato, muto, e nella ridda tumultuosa di un rito ebbro. In modo abbastanza sorprendente, pur dipingendo gli orrori più impensabili e intricati, e le profondità più degradanti e oltraggiose della sofferenza, la poesia non parla di uccidere, ma, innanzi tutto, è una poesia sul bere, e sulla relazione (o sulla non-relazione) fra il «bere» e lo «scrivere». 23

24 SCHWARZE Milch der Friihe wir trinken sie [abends wir trinken sie mittags und morgens wir trinken [sie nachts wir trinken und trinken wir schaufeln ein Grab in den Liiften da liegt man [nicht eng Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den [Schlangen der schreibt der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland [dein goldenes Haar Margarete er schreibt es und tritt vor das Haus und es blit­ [zen die Sterne er pfeift seine Riiden herbei er pfeift seine Juden hervor la.81 schaufeln ein [Grab in der Erde er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland [dein goldenes Haar Margarete Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein [Grab in den Liiften da liegt man nicht eng [NERO latte dell'alba lo beviamo la sera lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo bevia­ [mo la notte beviamo e beviamo scaviamo una tomba nell'aria là non si giace [stretti Nella casa abita un uomo che gioca con i serpen­ [ti che scrive che scrive all'imbrunire in Germania i tuoi capelli [d'oro Margarete lo scrive ed esce dinanzi a casa e brillano le stelle [e fischia ai suoi mastini fischia ai suoi ebrei fa scavare una tomba nella [terra ci comanda ora suonate alla danza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che scrive all'imbrunire in Germania i tuoi capelli [d'oro Margarete I tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una [tomba nell'aria là dove non si giace stretti]6 •

La rappresentazione dell'atto di bere, che è tradizionalmente una metafora poetica per lo struggersi, la sete romantica e il desiderio, viene qui trasformata nella figura sorprendente e abusiva di una tortura senza fine, di un'esposizione illimitata, una figura dell'impotenza della predicabilità e della prova insostenibile del dover continuare a resistere, assorbire, continuare a subire senza fine e senza limite. Quest'immagine dell'ubriachezza della tortura distorce e demistifica ironicamente la connotazione mitica greca del bere euforico dionisiaco, riferito insieme al vino e alla poesia, e, d'altra parte, la connotazione cristiana della consacrazione rituale religiosa e dell'Eucarestia, momento sacro in cui si beve il sangue di Cristo, e insieme la virtù di Cristo. L'immagine sotterranea, eppure notevole, dell'Eucarestia, suggerisce comunque che l'enigmatico bere che la poesia evoca ripetutamente è essenzialmente, piuttosto, un bere sangue. La distorsione della metafora del bere è ulteriormente acuita dall'immagine enigmatica del «latte nero», la quale, nella sua ripetizione ossessiva, suggerisce un'altra immagine sotterranea - indicibile e inarticolata: quella di un bambino che si sforza di attingere al seno materno. E tuttavia il denaturato «latte nero», guastato forse, e annerito, dalle ceneri bruciate, non sgorga dal petto della madre, ma dalle tenebre dell'assassinio e della morte, dal nero della notte, dall'«imbrunire» che «scende in Germania», quando la morte, per un'oscura magia, diventa «padrona». Essendo un'ingestione di latte nero liquefatto, insieme sangue scuro e ceneri bruciate, il bere non rimanda a una fonte materna, ma a una fonte mortifera, precisamente a quella della ferita, alla zona sanguinante della realtà, al suo stigma. La figura cristiana della ferita, vista tradizionalmente come il veicolo mistico e il tramite metaforico di una trascendenza storica - la cancellazione della morte di Cristo e l'avvento della Resurrezione - viene reinvestita, at25

traverso questa poesia, della concretezza letterale del sangue e delle ceneri del campo di sterminio, e in questomodo viene quindi resa ricettiva, nella propria ferita, non della resurrezione e della trascendenza storica, ma di ciò che di specifico c'è nella storia - della concreta realtà storica del massacro e dell'annientamento razziale-, che quindi rimane incancellabile e non trascendentale. In questo modo, ciò che fa Celan è di forzare la lingua delle metafore cristiane fino a testimoniare effettivamente l'Olocausto, e fino ad esserne a sua volta testimoniata. Nel suo insieme, la poesia non parla solamente di violenza, ma anche della relazione fra la violenza e la lingua: del passaggio della lingua attraverso la violenza, e del passaggio della violenza attraverso la lingua. Nella poesia, la violenza è messa in esecuzione dall'atto di parola del padrone tedesco; il comandante che dirige l'orchestra del campo intima di accompagnare con musica il gesto di chi scava la propria fossa, e di celebrare, in un'estatica «fuga» di morte, al contempo la ferita della terra e la propria distruzione e annientamento. Ma è già nel momento stesso in cui usa questa lingua che in effetti il comandante annienta gli Ebrei, destituendoli da soggetti, riducendo la loro individuale soggettività a una massa di oggetti indistinta, avvilita, inumana, di oggetti del suo capriccio, marionette per il suo piacere di distruzione, o strumenti musicali della propria passione sadica. 26 er pfeift seine Juden hervor la.Et schaufeln ein [Grab in der Erde er befiehlt uns spielt auf nun zum Tanz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Er ruft stecht tiefer ins Erdreich ihr einen ihr an­ [dern singet und spielt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . stecht tiefer die Spaten ihr einen ihr andern spielt [weiter zum Tanz auf

Er ruft spielt sii.Ber den Tod der Tod ist ein Mei­ [ster aus Deutschland er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr [als Rauch in die Luft dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegtman [nicht eng [fischia ai suoi ebrei fa scavare una tomba nella [terra ci comanda ora suonate alla danza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lui grida vangate più a fondo il terreno voi muc­ [chio voi altri cantate e suonate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . spingete più a fondo le vanghe mucchio voi e voi [altri continuate a suonare la danza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lui grida suonate più dolce la morte la morte è [un maestro tedesco lui grida suonate più cupo i violini e salirete co­ [me fumo nell'aria e avrete una tomba nelle nubi là non si giace [stretti]7. La violenza è tanto più oscena per essere stata estetizzata, e per il fatto di estetizzare la disumanizzazione che provoca, trasformando la perversione omicida in sofisticazione culturale e raffinato rapimento di una rappresentazione edonistica. E tuttavia la poesia lavora in modo esatto, di contrappunto, per disconnettere questa mascherata della crudeltà che vuol farsi arte, e per esibire l'oscenità di questa versione estetizzante, contrapponendo l'estasi melodiosa del piacere estetico alla dissonanza del1'atto di parola del comandante, e alla violenza del suo abuso verbale, e anche reintroducendo nell'amnesia della «fuga» - l'oblio della ubriacatura artistica - il gesto di bere il latte a significare l'impossibilità di dimenticare e di ottenere una sospensione della sofferenza e della me27

moria, e il sinistro, insistente, incancellabile ritorno di qualcosa che il piacere estetico avesse dimenticato. 28 wir trinken und trinken Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den [Schlangen der schreibt der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland [dein goldenes Haar Margarete Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein [Grab in den Liiften da liegt man nicht eng . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Schwarze Milch der Friihe wir trinken dich nachts wir trinken dich mittags und morgens wir trinken [dich abends wir trinken und trinken . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . der Tod ist ein Meister aus Deutschland sein Auge [ist blau er trifft dich mit bleierner Kugel er trifft dich [genau ein Mann wohnt imHaus dein goldenes Haar Mar­ [garete er hetzt seine Riiden auf uns er schenkt uns ein [Grab in der Luft er spielt mit den Schlangen und traumet der Tod [ist ein Meister aus Deutschland dein goldenes Haar Margarete dein aschenes Haar Sulamith [beviamo e beviamo Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti [che scrive che scrive all'imbrunire in Germania i tuoi capel­ - [li d'oro Margarete I tuoi· capelli di cenere Sulamith scaviamo una [tomba nell'aria là non si giace stretti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nero latte dell'alba ti beviamo la notte ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo [la sera

beviamo e beviamo . . . . . . . . . . . . . . . . ' la morte è un maestro tedesco il suo occhio è [azzurro ti colpisce con palla di piombo ti colpisce preciso nella casa abita un uomo i tuoi capelli d'oro Mar­ [garete aizza i suoimastini contro di noi ci regala una tom­ [ba nell'aria gioca con i serpenti e sogna lamorte è un maestro [tedesco i tuoi capelli d'oro Margarete i tuoi capelli di cenere Sulamith]8 • Tutta la poesia porta riferimenti contingenti, in varie forme di apostrofi e di indirizzi. Le interiezioni disumanizzanti e annientanti di 'indirizzo omicida - «voi mucchio, voi altri»-, il rivolgersi all'altro che lo costituisce non come soggetto ma come bersaglio («ti colpisce con palla di piombo ti colpisce preciso»), si incontrano e cozzano con i sognanti struggimenti del modo di rivolgersi del desiderio, indirizzo che istituisce l'altro come soggetto del desiderio, e, come tale, soggetto di responso, vale a dire qualcuno chiamato a una risposta. dein goldenes Haar Margarete dein aschenes Haar Sulamith [i tuoi capelli d'oro Margarete i tuoi capelli di cenere Sulamith]. Margherita, l'oggetto del desiderio di Faust, incarnazione dell'amore romantico per Goethe, richiama ad un tempo genericamente la tradizione letteraria tedesca dello struggimento e il languore attuale - del comandante, forse- per la propria amata tedesca. Sulamrnita, emblema femminile della bellezza e del desiderio celebrata e ammirata nel Cantico dei Cantici, evoca lo struggimento di 29

tradizione biblico ebraica e letteraria e il languore relativo alla propria amata ebrea. Il vocativo costituito dal nome dell'infanzia è attraversato profondamente da un'uguale misura di gioia e di tristezza, investito da un'uguale energia di umano languore e di desiderio. I singoli struggimenti entrano in risonanza l'uno con l'altro. Così si produce un'amara sconnessione e un'ironia disgustosa all'interno di questa risonanza di somiglianze. In contrasto con la chioma d'oro di Margherita, i capelli cinerei di Sulammita non connotano tanto un tratto della differenza razziale fra la fanciulla dai bei capelli, tipica dell'ideale ariano, e il pàllore cinereo della bellezza semitica, quanto la riduzione dei capelli a cenere, i capelli bruciati di una razza visti in contrapposizione con l'idealizzazione estetica e l'auto-idealizzazione dell'altra razza. Come la luce dell'«alba» si muta in notte e in oscurità, la dissonanza di capelli d'oro e cinerei produce anch'essa, di nuovo, solo «latte nero», come risposta alla sete, al languore, al desiderio. Il richiamo a Sulammita - la bellezza ridotta in fumo - è destinato a rimanere senza risposta. 30 SchwarzeMilch der Frtihe wir trinken dich nachts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . wir trinken und trinken Ein Mann wohnt im Haus der spielt mit den [Schlangen der schreibt der schreibt wenn es dunkelt nach Deutschland [dein goldenes Haar Margarete Dein aschenes Haar Sulamith wir schaufeln ein [Grab in den Liiften da liegt man nicht eng [Nero latte dell'alba ti beviamo la notte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . beviamo e beviamo Nella casa abita un uomo che gioca con i serpen­ [ti che scrive

che scrive all'imbrunire in Germania i tuoi capelli [d'oro Margarete I tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una [tomba nell'aria là non si giace stretti]. La ferita situata dentro la cultura si apre nella discrepanza, nel mutismo, nella brusca disgiunzione che si nota non solamente fra «Margherita» e «Sulammita», ma, innanzi tutto, fra «beviamo», «scaviamo» e «scrive». La ferita aperta viene contrassegnata, nella lingua, dall'impossibilità, per il «noi», di indirizzarsi, in questa poesia piena di apostrofi e di indirizzi, e di declinarsi in «egli». È proprio in questa radicale rottura di indirizzo fra il «noi» (che «beviamo» e «scaviamo»), e l'«egli» (che «scrive» e «comanda»), che Celan colloca l'essenza stessa della violenza e dell'Olocausto. Se «la morte è un padrone che viene dalla Germania», si tratta di un «padrone» non solo perché porta morte e riduce in schiavitù, e nemmeno solo nel senso ulteriore di un maestro, musicista o mastro cantore, maestro in arti che si sforza, con relativa ironia, di ricavare dalla morte un capolavoro artistico, ma piuttosto nel senso che la Germania, foss'anche inconsapevolmente, ha fatto della morte un'istituzione, il Meister, come padrone-maestro. La morte ha tenuto una lezione che non potrà essere mai dimenticata per il futuro. Se l'arte consiste nel sopravvivere all'Olocausto - sopravvivere alla morte padrona - dovrà rompere, con le procedure dell'arte, questa supremazia, la quale pervade insidiosamente tutta la cultura e ogni progetto estetico. L'argomento della necessità, per l'arte, di deesteticizzarsi e di giustificare così una volta per tutte la propria esistenza, è stato articolato con forza dal critico tedesco Theodor W. Adorno, in una famosa frase che definisce, certo, il senso della poesia di Celan, ma che è di31

ventata a sua volta (forse troppo rapidamente) un luogo comune della critica, presto corroso e ridotto a un'obliterazione sommaria della tormentosa e poetica efficacia di Celan in poesie come «Todesfuge»: «Dopo Auschwitz non è più possibile scrivere poesie»9: Il principio estetico della stilizzazione - scrive Adorno - consente di attribuire qualche significato a un destino impensabile; esso viene trasfigurato, qualcosa del suo orrore viene rimosso. Questo basta a costituire un'ingiustizia nei confronti delle vittime... [Alcune] opere... vengono perfino assunte consapevolmente come dei contributi tesi a schiarire il passato10 . Secondo la concezione radicale di Adorno, ciò comporta, quindi - non solo in questi casi specifici, e non solo nel genere della poesia lirica, ma in tutte le attività di pensiero, e in quelle di scrittura in quanto si presentano come opere di pensiero - di scrivere contro se stessi. Se pensare significa essere autentici - o se oggi, almeno, significa essere autentici -, deve essere un pensare contro se stessi. Se ciò che si pensa non può venir misurato a causa dell'eccesso che sfugge al concetto, questo avviene in base al principio insito nella natura dell'accompagnamento musicale con il quale alle S.S. piaceva soffoca"rè le grida delle loro vittime11 • Adorno stesso, comunque, ritornerà su questa sua affermazione sulla poesia in rapporto ad Auschwitz in un saggio successivo, per ridefinire il suo rilievo, e sottolineare l'intenzione aporetica, e non semplicemente negativa, della sua posizione radicale, e per mettere in evidenza il dato (meno conosciuto e più complesso) secondo il quale, abbastanza paradossalmente, è solo l'arte, in definitiva, 32

a poter essere all'altezza della propria impossibilità storica, e a poter sopravvivere al compito del pensiero contemporaneo nell'affrontare le incredibili richieste poste dalla sofferenza, al compito della politica e della condizione contemporanea della coscienza, riuscendo tuttavia a sottrarsi al tradimento culturale subdolo e onnipresente, pressoché ineludibile, messo in atto dalla storia e insieme dalle vittime. Non ho alcuna intenzione di ammorbidire l'affermazione secondo la quale dopo Auschwitz la poesia lirica è barbarica... Ma anche la replica di Enzensberger rimane vera, quando dice che la letteratura deve resistere a questo verdetto. [...] Avviene ora virtualmente solo nell'arte che la sofferenza possa ancora ritrovare la propria voce, e la propria consolazione, senza esserne immediatamente tradita. Oggi ogni fenomeno culturale, sia pure un modello di integrità, è suscettibile di essere soffocato dalla cultura del kitsch. E tuttavia, paradossalmente, in questa stessa epoca, è alle opere d'arte che è toccato il compito gravoso dell'affermazione muta di ciò che risulta impedito politicamente12 • L'intero sforzo del lavoro poetico di Celan può essere esattamente definito secondo i termini di Adorno, come creazione propria della poesia, e come auto-critica resistenza al verdetto secondo il quale è barbarico, adesso, scrivere inmaniera lirica, poetica; un verdetto che la poesia riceve, comunque, non dall'esterno, ma dal proprio interno; un verdetto che «Todesfuge» già racchiude, decretandolo e mettendolo in atto con l'usurpazione da parte del padrone del canto degli ospiti. Shoshana Felman Traduzione di Paolo Bollini 33

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