Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

rimpiazzano il granito di Pietro: la città intera si solleva e va a costruire sulle ossa degli operai. La nuova anima della città è la rappresentazione di una nuova concezione storicoarchitettonica. Dunque la città è per Mandel'stam un organismo architettonico-fisiologico in movimento, esattamente come è in movimento, sempre mutante, la folla: da esseri umani a fondamenta del nuovo edificio. Nel descrivere la marcia del corteo, interrotta dai colpi delle truppe zariste, Mandel'stam si serve di un procedimento che gli è caratteristico: non la resa statica, ma un incessante susseguirsi di trasformazioni che rendono possibile una «descrizione in movimento». Ed ecco che gli attori senza regista si trasformano in un formicaio, in un sistema di vasi affluenti, in muratori, in bestie ferite, e infine nel baluardo, nel fondamento architettonico, con le loro ossa, per la città. Lontano dalle retoriche ufficiali (conviene ricordare che questo testo fu scritto nel '22: di lì a un anno Mandel'stam avrebbe ricevuto il primo esplicito divieto a pubblicare versi) città e cittadini diventano qui un unico organismo incrociato - come quelli che dieci anni dopo Mandel'Stam vedrà nella Commedia - su un suolo di neve e sangue. È il trionfo di quel «demone dell'architettura che ha pungolato Mandel'stam fin dall'infanzia della sua poesia» (Serena Vitale), e che in «Utro akmeizma» (Il mattino dell'acmeismo, 1913) lo aveva portato a parlare del poeta come di un costruttore, di un architetto che, in nome delle tre dimensioni, rende onore alla dimora che abita, lottando contro il vuoto, ipnotizzando lo spazio. Materia di costruzione è la pietra-parola, per il poeta, come i mattoni lo sono per il muratore, i muratori del 9 gennaio. E tutti vanno ad abitare lo spazio::.._ «solo qui, sulla terra, e ·non in cielo,/ come in una casa piena di musica», scriverà in una poesia del '37 - come la «confraternita dei membri di un complotto contro il vuoto e il non essere». Così Mandel'stam, da Rostov, torna alla sua città, la «meglio costruita del mondo», che con il giallo, il granito e la neve, è una costante presenza della sua poesia, come Firenze per Dante: «Dalle scale dure, dalle piazze/ con le case angolose/ più potente cantava Alighieri/ il cerchio della sua Firenze/ .../ Così a grani rode con gli occhi/ la mia ombra quel granito». 84

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