rità, dirigendola verso un altro che è presente, che soltanto in quel momento diviene percepibile come tale. Celan ha affermato a più riprese l'essenziale carattere dialogico della poesia, opponendosi nel modo più chiaro alle posizioni di chi, come Gottfried Benn, asseriva il monologismo del "poema assoluto". Compagno del cuore e ispiratore di Celan era qui Osip Mandel'stam, che aveva pubblicato nel 1913 un saggio intitolato L'interlocutore. Celan raccoglie, nel Meridiano, gli argomenti rivolti dal poeta russo contro una poesia che risolve la tensione dialogica in una specularità interna all'io, ma radicalizzandone l'intenzione, che si arresta al rimando ad un lettore assente, nella direzione percettiva che egli aveva evocato nella celebre e spesso malintesa frase «non vedo alcuna differenza di principio tra una stretta di mano e una poesia». Mentre Mandel'stam invia la poesia in un'apertura temporale dove in definitiva trova il suo interlocutore, Celan sceglie il respiro breve del campo percettivo; ancor più in là, Celan intende l'interlocutore, das Gegenuber, nella sua doppia determinazione semantica. Das Gegenuber, infatti in tedesco significa "interlocutore" ma, alla lettera, "ciò che sta di fronte". Basti ricordare l'ottava Elegia di Rilke dove si dice dell'uomo che il suo destino è stare di fronte, stare di fronte sempre. L'intenzione precisa che regge l'impiego del termine si palesa nella frase successiva, in cui viene detto che ''ogni cosa, ogni uomo" è figura dell'altro per la poesia che vi si dirige. Un'alterità, questa, che se possibile ci colpisce come ancora più estranea. Ma un'estraneità che va preservata, affinché l'attenzione che si dirige verso l'altro non venga sommersa e dissipata in una "conversazione" in cui ognuno conosce il posto che gli compete. Ciò che Celan ricerca non è in fondo proprio quel senso ottuso nominato da Roland Barthes nei suoi ultimi scritti, e che ritroviamo nello sguardo rivolto ai "cenni", alla "mimica sottile, appena percettibile" del Lenz? 74
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