Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

Chi cammina sulla testa, Signore e Signori, chi cammina sulla testa ha il cielo come abisso sotto di sé. Signore e Signori miei, è consuetudine oggi rimproverare alla poesia la sua "oscurità". Permettetemi, subito in questo luogo - ma non si è improvvisamente aperto qualcosa qui? - permettetemi di citare qui una frase di Pascal, una frase che ho letto un po' di tempo fa in Lev Sestov: «Ne nous reprochez pas le manque de clarté puisque nous en faisons profession! ». Questa, io credo, è l'oscurità, se non congenita, certo attribuita alla poesia da una lontananza o estraneità che forse essa stessa progetta, per volontà di un incontro. Ma vi sono forse, e in una e medesima direzione, due diverse estraneità, strette l'una all'altra. Lenz - cioè Buchner - è andato qui un passo più in là di Lucile. Il suo "viva il re" non è nemmeno più parola, è un tremendo ammutolire, che toglie a lui - e anche a noi - il respiro e la parola. Poesia: può significare una svolta di respiro. Chi sa, forse la poesia compie il suo percorso, anche il percorso dell'arte, per amore di questa svolta di respiro? Forse le riesce, poiché l'estraneità, cioè l'abisso e la testa di Medusa, l'abisso e l'automa, sembra avere una direzione, forse le riesce qui di distinguere tra estraneità ed estraneità, forse proprio qui la testa di Medusa si raggrinzisce, forse proprio qui gli automi si guastano- per questo unico breve istante? Forse qui assieme all'io, assieme all'io spaesato che si libera qui e in questo modo, si libera anche forse un che di altro? Forse il poema a partire da qui è se stesso... e può allora, in questo modo privo di arte, libero dall'arte, percorrere le sue altre vie, quindi anche le vie dell'arte, andare e ancora andare? Forse. 59

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