Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

Mi sono proteso in avanti, al di fuori, non abbastanza lontano, lo so, ritorno al Lenz di Biichner, alla conversazione episodica che si svolgeva "a tavola", durante la quale Lenz era "di buon umore". Lenz aveva parlato a lungo, "metà sorridendo, metà serio". Ed ora, dopo che la conversazione è finita, si dice di lui, di colui che è impegnato nelle questioni dell'arte quindi, ma al tempo stesso anche dell'artista Lenz: "Lui si era completamente dimenticato di se stesso". Penso a Lucile, nel momento in cui leggo questo: io leggo, lui, lui stesso. Chi ha l'arte davanti agli occhi e in mente, costui ha - mi trovo ora presso il racconto di Lenz - dimenticato se stesso. L'arte crea lontananza dall'io. L'arte esige qui una distanza determinata in una determinata direzione, una via determinata. E la poesia? La poesia, che deve percorrere il cammino dell'arte? Allora questa sarebbe realmente la via verso la testa di Medusa e l'automa! Non cerco vie d'uscita ora, continuo soltanto a domandare nella stessa direzione, e così, io credo, anche nella direzione offerta dal frammento del Lenz. Forse, è soltanto una domanda, forse la poesia, come l'arte, va con un io dimentico di sé verso quell'inquietante ed estraneo, e si libera ancora una volta; ma dove? ma in quale luogo? ma con che cosa? ma in quale veste? Allora l'arte non sarebbe altro che la via che la poesia deve percorrere, niente di più, niente di meno. Esistono, lo so, altre vie, più brevi. Ma anche la poesia talvolta corre davanti a noi. La poésie, elle aussi, bn'.ìle nos étapes. Lascio colui che ha dimenticato se stesso, che si occupa d'arte, l'artista. In Lucile ho creduto di incontrare la 57

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