Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

in un ambito inquietante, ma rivolto verso l'umano, lo stesso nel quale la figura scimmiesca, gli automi e con loro... ah, anche l'arte sembrano essere di casa. A parlar così non è il Lenz storico, è quello di Biichner, qui è la voce di Biichner a farsi sentire: l'arte serba per lui anche qui qualcosa di inquietante. Signore e Signori, l'accento che ho posto è acuto; non intendo ingannare né me né tantomeno voi, sul fatto che io, con questa domanda sull'arte e sulla poesia-una domanda tra le altre-, che io con questa domanda che certo mi appartiene, anche se non è spontanea, sia dovuto arrivare sino a Biichner per cercare quella domanda che è la sua. Ma voi lo vedete: nel momento in cui l'arte si dà a vedere, non si può far finta di non sentire il "tono stridulo" di Valerio. Queste sono, ed è la voce di Biichner a esortarmi a tale supposizione, inquietudini vecchie, delle più vecchie. La mia ostinazione oggi nel soffermarmi su di esse sta certo nell'aria- nell'aria che noi dobbiamo respirare. Non vi è in Georg Biichner, devo domandare ora, non vi è nel poetadellacreatura una forsesolo sottaciuta, forse solo a metà consapevole, ma non per questo meno radicale messa in questione dell'arte, o forse proprio per questo radicale nel senso più proprio, una messa in questione a partire da questa direzione? Una messa in questione a cui tutta la poesia di oggi deve tornare, se vuole continuare a domandare? Con altre parole, che certo omettono qualcosa: possiamo noi, come accade ora da molte parti, procedere dall'arte come qualcosa di stabilito, che possiamo presupporre incondizionatamente, dobbiamo, per esprimerci in modo molto concreto, in primo luogo - diciamo così- pensare la lezione di Mallarmé sino in fondo, con coerenza estrema? 56

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