Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

ca della realtà attraverso la lingua «col proprio stesso essere», cercare nella lingua ciò cui la lingua deve precisamente passare attraverso, questo significa dunque fare del proprio «esser privo di riparo» - dell'esposizione e dell'accessibilità delle proprie ferite - un mezzo inatteso, senza precedenti, per una realtà accedente, la condizione radicale di un'esplorazione in grado di estorcere la funzione testimoniale, e il potere di testimonianza della lingua: significa consegnare alla realtà la sua stessa vulnerabilità, come la condizione di un'eccezionale disponibilità, e di un'attenzione resa estremamente sensibile, e in sintonia con la relazione fra lingua ed eventi. Una poesia che tenta di sondare precisamente questa relazione fra lingua ed eventi è Todesfuge («Fuga di morte»), la prima poesia pubblicata da Celan, scritta verso la fine del 1944, in prossimità dell'emergenza della devastante esperienza di guerra del poeta. La poesia drammatizza ed evoca l'esperienza di un campo di concentramento, ma non in modo diretto ed esplicito, e comunque non attraverso uno svolgimento narrativo lineare, di confessione personale o di riproduzione testimoniale, ma in modo ellittico e circolare, attraverso l'arte del contrappunto, polifonica ma ironicamente disarticolata, e attraverso ripetizioni ossessive, coatte, e l'esplosione vertiginosa di una canzone folle, i cui lamenti - per metà blasfemi e per metà oranti - bruciano improvvisamente in un grido inarticolato, muto, e nella ridda tumultuosa di un rito ebbro. In modo abbastanza sorprendente, pur dipingendo gli orrori più impensabili e intricati, e le profondità più degradanti e oltraggiose della sofferenza, la poesia non parla di uccidere, ma, innanzi tutto, è una poesia sul bere, e sulla relazione (o sulla non-relazione) fra il «bere» e lo «scrivere». 23

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