Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

l'unica, personale, verità - può darsi come innata, è anche un'indissolubile e insostenibile connessione con gli assassini dei genitori, una sottomissione alla lingua stessa dalla quale originano la morte, l'umiliazione, la tortura e la distruzione, come per un verdetto di annientamento personale. Perciò la scrittura poetica di Celan lotta con il tedesco, per annientare il proprio annientamento inscritto in esso, per riadattarsi la lingua che ha segnato la propria esclusione: le poesie disconnettono la lingua, per riplasmarla, spostandone in modo radicale gli assunti semantici e grammaticali, per rifare - in modo creativo e critico - un nuovo linguaggio poetico, tutto interamente di Celan. La crisi mallarméana della lingua diviene qui impegno vitale - e sforzo critico - per redimere e riappropriarsi della lingua nella quale la testimonianza deve (e non semplicemente e acriticamente: può) essere resa. Questo lavorare radicale e necessario, insieme attraverso la lingua e la memoria, avviene mediante una lotta poetica e linguistica disperata, per riadattarsi precisamente la lingua stessa della propria espropriazione, per redimere il tedesco dal suo passato nazista e recuperare la lingua della madre - l'unico possesso di chi è depossessato - dall'Olocausto che essa gli ha inflitto. «Questi - dice Celan - sono gli sforzi di uno... talmente privo di riparo quanto finora non fu nemmeno possibile immaginarsi..., che con tutto il proprio essere va verso la lingua, afflitto dalla realtà, e insieme in cerca di essa»: Sotto tiro, vicino, non perduto, rimase, nel mezzo delle cose perdute, solo questa cosa: la lingua. Questa cosa, la lingua, non si è perduta, ed è rimasta, sì, a dispetto di tutto. Ma è dovuta passare attraverso il suo non poter rispondere, passare attraverso lemigliaia di tenebre dei discorsi che portano la morte. Ci è passata attraverso, ma non ha saputo rendere in parole quel che stava succe21

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