Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

Così, dunque, la parola poetica ripete le forme linguistiche del nome proprio, dal vocativo alla presenza, e soprattutto riproduce la sua negatività. Ne viene, anche in questo caso, una negazione della negatività linguistica, un «manque» del «manque» che non è solo un gioco. Per accedere al linguaggio poetico, e particolarmente nella poesia moderna, bisogna realmente passare attraverso una negazione, una esautorazione, un rifiuto del linguaggio usuale, che sono testimoniati più che a sufficienza dalla rassegna dei folli, dei maledetti e dei perduti, che riempiono la letteratura moderna. In questo senso, e drammaticamente, il poeta è un infans. Il suo rifiuto del linguaggio è la stessa cosa che il suo rifiuto del reale. Ma se presso i Romantici questo rifiuto sembra privilegiare l'ideale o il sogno, eppure era già potentemente teorizzato come un diverso modo di accesso al reale, nella successiva generazione poetica, e già con Baudelaire, l'ambivalenza si fa esplicita: «Tout enfant j'ai senti dans mon coeur deux sentiments contradictoires: l'horreur de la vie et l'extase de la vie». Questa ambivalenza è alla base del doppio movimento, negativo e perciò positivo, del linguaggio poetico. Nel definire l'irreale del poeta non si può non accennare a quell'altro linguaggio, il linguaggio dell'inconscio, nel quale si sono riconosciute le forme di una retorica e che si fonda infatti su quei principi di similarità e di associazione che lo avvicinano alla parola poetica. La negatività poetica continua però a comportare quello che nega; la poesia nasconde, e perciò implica, il nome sottratto: il fiore del poeta è «une rose dans les ténèbres», mentre invece il linguaggio dell'inconscio si distingue per la perdita assoluta del nome24 . Il linguaggio dell'inconscio è un linguaggio dove manca il nome e ne è una dimostrazione chiarissima il famoso bellissimo esempio freudiano della parola «Signorelli». In questo caso tutta la formazione associativa (Botti196

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