Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

celli, Boltraffio, Herzegovina, ecc.) che allude alla sessualità e alla morte, si fonda sulla rimozione, sulla dimenticanza e quindi sulla perdita assoluta del nome. «Un crittogramma trova tutte le sue dimensioni quando è quello di una lingua perduta»25: il linguaggio analitico è puramente negativo. Viene da qui la sua interminabilità opposta alla compiutezza del testo poetico e viene da qui soprattutto la nozione freudiana di «realtà psichica» «in contrasto con quella materiale». Ma l'irreale del poeta è quell'al di là dai nomi dove è posta la cosa «inattingibile al linguaggio». Se il poeta ha un diverso modo di guardare la realtà «sostituendo ai rapporti consueti altri nuovi, inediti e segreti»26 , è solo perché libera il reale dai suoi nomi: la sottrazione del nome è infatti contestualmente, l'istituzione di un rapporto, e il rapporto a sua volta, il «due-a-due» di Mallarmé, è il solo modo di dire la cosa per definizione ineffabile, alla quale così soltanto viene restituita l'ineffabilità. Il poeta dice quello che non può essere detto in quanto non può essere detto: questo è il «manque» del «manque» e per questo l'irreale del poeta comporta anche il raggiungimento della cosa nella sua essenza più profonda, nel suo «amoroso in-sé». Tranne che questo non avviene attraverso quella che i filosofi chiamano una «intuizione immediata e perciò sensibile»: al contrario, non c'è qui niente di immediato ma c'è una doppia mediazione. «Forse noi siamo qui per dire: casa, ponte, fontana, brocca...». Se il poeta, secondo la nota idea di Rilke, proferisce il nome vero, il nome "proprio" della cosa, se il poeta dice: «une fleur!», mentre «de plusieurs vocables refait un mot total, neuf, étranger à la langue», dice allora un nome complesso, paragonabile solo a quel nome che è posto al limite del linguaggio e che reca il suggello, evidente eppure sempre misterioso, dell'identità: la cifra stessa di ogni esperienza amorosa. Laura Sturma Fanelli 197

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