linguaggiodella poesia, come se non fosse solo un momento occasionale, ma un aspetto essenziale della parola poetica. Infatti, anche quando non è esplicito, il vocativo si nasconde in altri luoghi del dettato poetico ed essenzialmente nella metafora. Se la metafora è stata interpretata come «un'immagine affettiva» dell'oggetto, o come «l'emozione rapportata all'oggetto»20 è perché implica evidentemente una nascosta personificazione, uno sfuggente tu. Perché la cosa sia sottratta al nome, ed esattamente come avviene nel nome proprio, essa deve essere innanzitutto sottratta alla terza persona che è il luogo dell'assenza: la cosa cioè deve essere resa presente, deve comportare un rapporto, o anzi, una identificazione. Non per nulla troviamo già nell'Estetica hegeliana: «Se poi ci chiediamo in che cosa consista l'ispirazione artistica, essa non è altro che l'essere interamente riempiti dalla cosa, essere presenti interamente nella cosa»21 • Veramente allora l'oggetto è «in sé vivo»22 , e il tu è rivolto alla cosa perché non è più «cosa», ma il termine di un riconoscimento assoluto. In questo modo il poeta ristabilisce l'unità, ricolma il «manque» linguistico e celebra, fin dalle origini della poesia romanza, la «joi» senza fine della ricomposizione, giungendo fino al poeta contemporaneo, che si vede restituito il reale come «une présence entièrement satisfaisante». E l'unità è in questo: che l'infinito della cosa poetica è l'infinito stesso del Soggetto: «Tutta la verità del Soggetto, delle sue emozioni e dei suoi pensieri»23 • Dicendo la cosa il poeta dice se stesso e tuttavia dice la cosa. Così si ricompone la separazione che appartiene al linguaggio ed al logos. Quell'unità che appare irraggiungibile, o che viene promessa alla fine dei tempi è un «qui-e-ora», ed è solo un «qui-e-ora» se la forma temporale e linguistica del presente è costitutiva, in quanto sottrazione al tempo o ripetizione del tempo, sia del mito che della poesia. 195
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