Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

volte più potente della più grande bomba mai usata in guerra. Parallelamente si evoca Roethke o Céline, la Bibbia o la tradizione fantascientifica, costringendo in ogni caso il lettore ben oltre i confini del piacere fantastico o della fruizione estetica come riposo dalla storia. In Galapagos l'immissione di testi storici e documenti è «superata»: se lacerti di citazioni sono affidati ai circuiti elettronici del computer Mandarax - alla fine buttato a mare - e Leon Trout non ha alcuna biblioteca da esibire, né metodi storici da mimare sia pure polemicamente, non manca nel contesto in cui l'opera si collocava nel 1985, a livello dell'extratesto culturale immediato, un sottinteso gioco di riferimento. La paradossale terapia suggerita per una «storia cancerosa», il nuovo «lavoro della storia» proposto da Vonnegut - sul duplice piano dell'elaborazione simbolico-antropologica del lutto e della prospettiva assiologica - si costituisce come dialogo non solo all'interno del macrotesto dello stesso Vonnegut ma anche del dibattito contemporaneo narrativa/storiografia, sulla cui scena era apparso quel difficile, enorme palinsesto post-joyciano di guerra, psicoanalisi e antropologia che è Gravity's Rainbow di Thomas Pynchon, uscito nel 1973 ma «assorbito» gradualmente. È con Gravity's Rainbow che Galapagos sembra sottintendere una parte del suo gioco di intertestualità e di inversione o antifrasi. L'esaltazione erotica del pilota peruviano mentre sgancia dall'alto i suoi missili sull'Ecuador - Vonnegut è stato anche pilota - ricorda lo Slothrop di Pynchon alle cui gesta erotiche misteriosamente corrispondono gli obiettivi dei razzi tedeschi a Londra. La stolida violenza grottesca nell'assalto all'hotel Eldorado di Guayaquil echeggia molte pagine di Pynchon. Ma è soprattutto la concezione centrale di Pynchon - di una storia come condizionamento paranoico pavloviano, mania di connessione e controllo sintagmatico, economico-militare e psico182

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