che pensi? che pur dietro guardi: non imitazione parodistica, ma variazioni su un tema, su una cellula musicale del poeta aretino. Conclude Petrarca il sonetto:«Cerchiamo 'l ciel, se qui nulla ne piace:/ ché mal per noi quella beltà si vide,/ se viva et morta ne dovea tor pace». L'esperienza eccezionale dell'incontro con la«beltà» viene ravvivata a secoli di distanza quando un poeta della civiltà tecnologica ne scopre il corrispettivo formale nel sonetto, dopo aver fatto piazza pulita, nelle precedenti opere e nello stesso Galateo, di ogni metro e rima. Se Petrarca può raccontare attraverso i sonetti«la visiva» esperienza del contatto con la«beltà», nei sonetti di Zanzotto essa non può più incarnarsi nel significato narrato, ma si dà come significante che non può essere attualizzato in nessun contenuto. Si dà come«forma». Ma il sonetto di Zanzotto presenta un altro aspetto interessante: «Voce d'augei, di rii, di selve, intensi/ moti del niente che sé a niente plasma» (Galateo, p. 70). L'assoluta coincidenza che dall'inizio di IPERSONETTO rientrava tra gli scopi perseguiti, pare raggiunta sulla soglia di un«nulla», di una mancanza di senso che si ricicla perennemente. Facciamo notare due cose: che proprio nel sonetto direttamente precedente (Galateo, p. 69), in opposizione al nulla monolitico e identico a se stesso, si ergeva un«tutto» indefinibile e imprendibile per la molteplicità dei suoi aspetti; e che questa stessa materia sonora a-significante che pare risucchiata nel non-senso, è in realtà organizzata in una filigrana fittissima di regole e di codici che sorreggono sensi riposti anche là dove tutto pare caos. Non per altro è stato scritto il Galateo in bosco; non per altro la forma del sonetto è il codice che riscatta dal nulla che continuamente fronteggia. Il (Sonetto di sembianti e diva) presenta gli«stessi riferimenti di (Biscia carbone o cavaròncol)» (Galateo, p. 115), e tantovale allora soffermarsi su alcuni versi di questa lirica che ha la funzione di introdurre al carattere es139
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