Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

La forma, il mandala: la beltà L'enigma si colloca esattamente al centro: diciotto poesie precedono e altrettante seguono l'organismo concluso e abbagliante dei sonetti. Non vogliamo addentrarci nei meandri della perizia metrica e stilistica con cui sono costruiti i sedici componimenti: la bravura si esibisce sfacciatamente sulla pagina, senza mediazioni, riprendendo le forme chiuse della tradizione, e ciò dopo il lungo esilio nella «steppa» del verso libero. Centellinare gli artifici stilistici e smascherare puntualmente i richiami alla produzione letteraria che ha trovato espressione nell'aurea forma del sonetto, ci sembrano esercizi che, pur presupponendo una lodevole acribia filologica ed uno sterminato bagaglio culturale, restano alla periferia del cuore dell'enigma, delucidandone l'aspetto più scoperto e clamoroso. Quello che dobbiamo chiederci, la questione che esige di essere posta, è la seguente: perché «qui» l' IPERSONETTO, nel Galateo in bosco, e non «allora», per esempio nella Beltà? Ascoltiamo direttamente Agosti, senza parafrasarlo, da un articolo veramente capitale sull'opera di Zanzotto alla fine degli anni Sessanta: L'originalità e la forma dell'esperimento consistono allora in questo: nell'aver l'autore deflesso, formalmente, un massiccio patrimonio linguistico tradizionale e individuale entro la regressione afasica [...] e nell'aver drenato, concettualmente, una totalità culturale sul rovescio di un nettoyage di tipo amnesico, o ipomnesico [...]. Si toccherà quindi il cuore del fenomeno rilevando che esso è impostato sui poli, lontanissimi e irriducibili, rappresentati, l'uno, da afasia-amnesia, l'altro da verbalizzazione-memoria. [...] l'opposizione sul piano del contenuto sarà rappresentata, per il polo positivo (memorizzazione), dalla storia, os131

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