Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

cecanti ricchezze». E cosa sono i Fosfeni se non «vortici di segni e punti luminosi che si avvertono tenendo gli occhi chiusi», come appunto ci avverte l'A.? Il momento di sutura e di passaggio tra i due universi visivi sembra dato da Vocativo; ed, in particolare, da un componimento dove sono tracciate per la prima volta quelle coordinate spaziali, all'interno delle quali hanno luogo le esperienze ottico-mentali (visionarie e conoscitive) dell'io. Il componimento, ricco di evidenti riferimenti leopardiani, risulta d'importanza capitale per il successivo sviluppo della nostra poesia. Porta il titolo programmatico di Dove io vedo. Eppure, in Zanzotto, (ce lo conferma il componimento appena citato) permane sempre una dimensione liricoarcadica della visione, che attraversa, come un vento vivificatore, l'universo visionario conoscitivo. È appunto l'occhio che ama il paesaggio; che lo abbraccia in un «viaggio I lento e azzurro», in tutti i suoi colori silenzi e perfezioni: che lo rappresenta in «pittura» («Veneto in pitturaura»). E infatti: l'occhio è «lebbroso», ma continua ad «accendersi» nuovo a ogni apparizione naturale, e in particolare di fronte alla luna; tanto, che, a questo proposito, possiamo prolungare la linea cosmico-lunare segnata da Italo Calvino «come una delle più importanti linee di forza della nostra letteratura»17 , e cioè la linea AriostoGalileo-Leopardi, aggiungendo a questi nomi il nome di Zanzotto. Vedere è sapere, ma anche essere, come ci dice il libro della Beltà: «E la vi(ta) (id-vid)»18. Ora, questo occhio (visionario-conoscitivo-lirico) è la poesia; questa poesia è «prisma», «Occhio, pullus nel guscio», «sferico monocolo», «mirifico occhio di mosca, icosaedro» (e le citazioni potrebbero moltiplicarsi); ma, se mi è concesso usare un'ultima immagine, io la vedo soprattutto come uno «scrigno di sguardi». 106

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