Il piccolo Hans - anno XIX - n. 74 - estate 1992

«nella tradizione della metafisica della luce, che, movendo dalla filosofia greca, attraverso il neoplatonismo e Agostino, passa per tutto il Medioevo, per poi proseguire nel platonismo del Rinascimento ed essere ancora operante nella fenomenologia di Edmund Husserl e di Max Scheler»14; tradizione che ha nel Paradiso di Dante una delle sue espressioni poetiche più alte. Vi ha attinto anche Montale: «portami il girasole impazzito di luce»; se n'è nutrito Biagio Marin: «Del sol m'hé nudrìo, I parola de Dio». L'evidente rapporto che lega l'occhio alla luce (del resto reso ancora più evidente nella tradizione letteraria italiana dove il plurale di luce, «luci» vale «occhi»: «Occhio come campo della luce e luce come testimonianza massima della presenza», mi ha detto una volta l'A.) vuole risolversi in Zanzotto nella identificazione totale dei due termini: «Chi, luce, a te mi conferma». Si tratta quindi di una «presunzione visiva della mente» che tocca la sua acme in Fosfeni, se si vuole riconoscere in essa, con Luperini15 , «la chiave del campo semantico forse cardinale» del libro. Ma non è forse corretto parlare di acme, perché la tensione e vorrei dire l'ansia visiva di Zanzotto pervade costantemente l'opera, costantemente acuta, vigile. La sua è sempre una Palpebra alzata16 e come tale pronta ad accettare il rischio dell'ustione, mentre si espone alla fonte di una luce storica e filosofica, e anche metafisica. Quell'occhio che nel film Un chien andalu (1928) di Luis Bunuel e Salvador Dalì viene, in primissimo piano, tagliato da un rasoio, si fa in Zanzotto disposto a tutti gli «stupri», «santi» («santi stupri dell'occhio»); simile anche, se volessimo richiamare un'altra opera cinematografica, all'occhio spalancato e violentato nel suo viaggio «oltre l'infinito», del protagonista del film di Stanley Kubrick: 2001: a Space Odyssey (1968). Alla fine, è un occhio che accetta il rischio della cecità («pupille cieche», «ogni sguardo si disocchia») per «Vedere». Ma che, accecato, ancora, vede: «io vedo ancora/ tra ac105

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