camino della stanza ove avevano desinato su invito di suo fratello Carlo: una notazione non solo dèscrittiva, giacché il disporsi dei convitati appare chiaramente dettato dall'esigenza di fornire uno spunto ai ragionamenti sulla lingua. Alla proposta di Ercole Strozzi «il quale per accidente d'infermità sciancato e debole era della persona», di accostarsi, dopo il desinare, al camino, ribadirà un altro degli ospiti, Giuliano de' Medici: «Accostiamvici, ché questo rovaio, che tutta mattina ha soffiato, acciò fare ci conforta». Ed è appunto la parola «rovaio», e il suo significato, ad aprire la strada ( «e di questa voce, d'una cosa in altro parlando, venuti a dire della volgar lingua») al dialogo, sollecitato dal rilievo polemico dello Strozzi nei riguardi dello stesso Pietro Bembo: per il fatto «che essendo egli nella latina lingua già avezzo, egli la tralasci e trametta così spesso, come egli fa, per iscrivere volgarmente». E tuttavia l'immagine dei quattro interlocutori seduti accanto al fuoco, , come più avanti, nel terzo libro, l'interruzione, l'entracte, costituito da «famigliari di mio fratello che veduto che già la sera n'era venuta, co' lumi accesi nella camera entrarono e, quelli sopra le tavole lasciati, si dipartirono»; o la cena che conclude il dialogo «lietamente», appaiono tratti eh� contribuiscono a includere il fitto e serrato svolgersi dei ragionamenti e della minuziosa esemplificazione linguistica, entro un'atmosfera, una luce, intima e calorosa. Rispetto alle Prose, gli Asolani ci appaiono molto più mossi. Qui la descrizione dei luoghi, la presenza attiva delle tre giovani donne che non si limitano ad ascoltare, ma frequentemente intervengono, l'interloquire, polemico e talvolta motteggiante degli altri protagonisti, a frangere l'altrui argomentare, attribuiscono vivacità, e insieme realismo, alla forma dialogica, contribuendo a conferire al testo, soprattutto nei primi due libri, quel «carattere drammatico» derivante - come sottolinea Dionisotti2 - 98
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