Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

sceneggiatura e il cui peso pedante grava non a caso sul secondo episodio, «Non nominare il nome di Dio invano», discorso sull'etica o meglio sulla morale e sulla professionalità, sulla procreazione e su i veri genitori; e sul quinto «Non uccidere» dove una discussione all'americana sulla pena di morte si rapprende nella perversa fissità delle ultime immagini; e sull'ottavo «Non dire falsa .testimonianza», dove il secondo episodio viene rimesso in gioco insieme con il giustificato abbandono ai nazisti di una bambina ebrea: professionalità (la persona non poteva compromettersi e compromettere la giusta causa), veri genitori, contro l'ebraismo; e sul nono «Non desiderare la donna d'altri», dove la donna in realtà è la propria, curioso scambio o confusione forse di nazionalità, forse di religione; o sul decimo infine «Non desiderare la roba d'altri», dove, come nel Mercante di Venezia, è in gioco una libbra di carne in cambio qui di un pezzo da collezione, ma solo questa citazione nascosta, nello stesso modo in cui funzionava nel primo episodio il roveto ardente, ci rivela nell'ultimo che la richiesta viene da un ebreo strozzino: una mutilazione alla rovescia con cui Kieslowski suscita senza riconoscerlo, come all'inizio le file degli ebrei da campo di concentramento, il fantasma del «complotto ebraico» (e gli «ebrei» sono accompagnati da cani tedeschi, inversione delle lingue come nel sogno della mia analizzante). Sfuggirebbe alla ferrea competenza del partner il sesto «Non commettere atti impuri», ma solo nella sua versione che esorbita dal cerchio dell'ora, quella del film in circolazione indipendente, come un finale opposto che al rifiuto casto che compare nel Decalogo suggerisce in cambio proprio il telescopio dell'universo delle teorie sessuali infantili. E sfugge anche il terzo, «Ricordati di santificare le feste», grazie a un errare oltre i «confini», continuo e senza scopo nella notte, anzi sulla base di una falsità e di un'invenzione, che mantiene un uomo e una donna fuori di casa, fuori dall'«orrore della fami93

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