Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

E finalmente il Mosè freudiano seduto, che ha saputo trattenere l'ira e non spezzare le tavole della Legge, e che ha avviato la psicoanalisi a prendere l'impronta che le potenze psichiche, pudore, vergogna, rispetto, compassione, imprimono nella storia del soggetto, si alza in piedi. Con le tavole della Legge s'incrina anche il quarto comandamento, insinuando un dubbio sul padre e sulla madre. Il soggetto, a lungo sottoposto dall'ebreo Freud, ecco un chiasmo, a un processo di cristianizzazione, le potenze psichiche essendo l'equivalente delle virtù cristiane temperatrici, si ritrova straniero. E l'origine del suo sapere cambia di luogo. Così rivediamo il nostro «luogodella fobia» che scoperto come strutturante e sottratto alla fugacità di sintomo quale era apparso a Freud nel caso del piccolo Hans, è pur sempre, come sono andata illustrandolo in questi anni, il punto di partenza della nevrosi, anche se questa nevrosi salva da perversione e psicosi. Perché il «luogo della fobia» che il soggetto ripresenterà continuamente nella sua vita irrigidito, indurito nei confini, impoverito nell'affido sempre più vistoso di qualsiasi tecnica a un «gestore» che come lo stagnaio per Hans o il fabbro per Eric di Melanie Klein, rimedi all'impotenza ma insieme anche alla mutilazione, e di qui il doppio gioco già intravisto con la fine del film di Kieslowski, è anche il luogo di riconoscimento dei genitori, di presa d'atto della generazione, e il «sapere» che ne viene deforma il momento di teoria pura che lo precede. La questione posta dal bambino sull'animato e l'inanimato termina con la fondazione di un confine tra soggetto e natura e all'esterno, ai campi ai luoghi originari va sempre più sostituendosi la dimensione angusta dell'interno di una casa. Il rapporto alla Legge attraverso la porta murata, ricordiamoci il caso di Telma alla quale il rapporto dello 89

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==