Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

in una vetrina un abito bianco da sposa e questa volta, accanto, un paio di mutandine bianche «vuote». Ora il cognome del marito, sul quale come ho detto mi ero già soffermata altrove, e che, ovviamente parafrasandolo, avevo indicato in Mostra per cui l'analizzante sposandosi era diventata L. Rossi in Mostra, non mostra più una genitalità procreatrice agli occhi del bidello, ma una verginità, l'abito da sposa in vetrina, può mostrarsi pubblicamente senza effetti: le mutandine bianche «vuote» ripropongono il cerchio privo di arti anteriore al Cefalòpodo, un «amore senza ostacolo» legato più all'esibizionismo che allo stupro. Una mutilazione che consente il riaffermarsi delle teorie sessuali infantili e fa sì che L. possa riaprire le gambe. Perfettamente «guarita» dal suo disturbo, L. instaura con il marito un malizioso rapporto erotico lontano dal letto coniugale, che serba dell'infanzia la possibilità di avvenire dietro un divano. In luogo delle potenze psichiche «cristiane» che si esercitano sui fratelli e che sempre presuppongono il ritorno violento del padre primordiale indiscusso, la mutilazione ebraica riporta il soggetto un passo indietro, al rapporto con il padre, ma incertus, straniero, e l'eroe con un'ala sola, che non può bruciarsi al sole, ripropone questo come filtrato attraverso l'ombra che il Dio d'Israele proietta stando alle spalle del suo popolo. La fantasia della mutilazione percorre la storia individuale e collettiva dei soggetti e offre un'angolatura diversa rispetto a quella della protesi, del pene aggiunto dall'idraulico nel luogo della fobia. Così il romanzo familiare, o meglio il romanzo «storico», che rappresenta la mutilazione prima, la privazione dei membri più necessari della propria famiglia, sorregge una fantasia insieme più eroica ma anche più elastica, meno rigida di quella che si struttura sul luogo della fobia e si attua attraverso la sua ripetizione. 75

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