Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

so di farlo, l'ha vinto, vi ha rinunciato, e le tavole della Legge sono lì per l'eternità, salve sotto il suo braccio, pronte per la lettura cristiana. L'anticipo ha qui una funzione ben diversa da quello rappresentato dal primo culmine della sessualità, ma esplica l'uso normalizzante che si può fare di tutto, volendo, compreso del luogo della fobia e delle barriere, quando non vi si accettano questi tratti ebraici dello spostamento e della mutilazione, e quello, aggiuntovi proprio da Freud con il Mosè egizio, della deformazione. Torniamo alle conclusioni che Freud trae dalla propria attrazione per il Mosè di Michelangelo: «Così facendo egli ha impresso nellafigura di Mosè qualcosa di nuovo, di sovrumano, e la possente massa corporea e la muscolatura formidabile del personaggio diventano il mezzo d'espressione fisica della più alta impresa psichica possibile all'uomo: soggiogare la propria passione a vantaggio e in nome di una causa alla quale ci si è votati». Questa opinione viene completamente ribaltata in «L'uomo Mosè», dove «uomo» sta per «grande», «eminente». Dunque questo «grande uomo», scrive Freud questa volta, «ci è dipinto spesso come autoritario, collerico e persino violento, eppure si dice anche di lui che era il più mansueto e il più paziente degli uomini. È chiaro che queste ultime qualità poco avrebbero servito al Mosè egizio, che si proponeva con il suo popolo di compiere cose così grandi e ardue, forse appartenevano all'altro, al madianita». A sostegno della nuova tesi freudiana su un Mosè egizio come l'unico capace di votarsi a una grande missione, viene quindi portato l'episodio tanti anni prima cancellato della rottura delle tavole della Legge. Ma già il tenue segno di un dubbio sarebbe passato per la mente di Freud nel 1913, se le ultime parole dedicate al Mosè di Michelangelo sono poste in realtà a incrinare la perfezione dell'opera, l'opera stessa di cui si parla: «Ma, e se ci trovassimo su una falsa strada?... Infine, 66

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