za, smascherati nei sogni, e a ritorni pre-cristiani proprio in quelle così curiose e frequenti apparizioni di componenti ebraiche o di riferimenti all'ebraismo altrimenti inspiegabili in analizzanti di pura razza ariana. Solo che finora, anche constatando questo, mancava al1'analista una teoria che lo ponesse in relazione con la funzione delle potenze psichiche e rendesse possibile una loro sostituzione, che l'analizzante ciecamente tenta di suggerire, con il raggiungimento di una tecnica «libera» da intermediari e gestori e ancp.e da una canalizzazione diretta in realtà alla mèta genitale, raggiungimento che sembra essere al centro delle aspettative di un'analisi. Ecco allora che tutto ciò che del romanzo familiare passa all'inizio di un'analisi, invece di essere sopportato come il periodo inevitabile di una lacaniana parola vuota, viene ad acquisire la stessa importanza che giustamente viene già data al primo sogno portato in analisi. Ciò di cui l'analizzante «racconta», le sue vicissitudini, possono aprire un nuovo modo di articolare le vicissitudini delle pulsioni. Alla fine della vita, il «romanzo storico» che Freud dichiara di avere scritto con il suo Mosè, che appare pubblicato mentre Freud si è «spostato» a Londra, rimedia alla prudenza con cui Freud ha perseguito una via più «normale» forse di quella che aveva intuito. Il Mosè egizio si contrappone allora al suo precedente Mosè del 1913, il «Mosè di Michelangelo», che ci rivela tutto il pudore freudiano. Ciò che dice a Freud che lo va più volte a visitare il Mosè di Michelangelo, è in aperta contraddizione con la tradizione ebraica e con la Bibbia. È il Mosè cristiano che, appena sceso dal monte con le tavole della Legge, già sapendo che il popolo ha tradito il suo Dio con un vitello d'oro, si siede e, dopo un moto d'ira, lo trattiene e lo placa. La lettura di Freud produce un'inversione temporale: il Mosè non sta per scattare e spezzare le tavole della Legge, ma ha già provato l'impul65
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