Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

mazione, invocata paradossalmente da Freud all'ultimo momento. Indurre i nevrotici, fissati nella verità, a errare. Ecco allora una diversa possibile applicazione del romanzo familiare. Il primo passo non è più in funzione edipica riguardo a una coppia ma è uno spostamento dal lato della madre, quello detto da Freud della «sensazione» e legato alla certezza e alla scienza, verso il lato del padre che, almeno fino a oggi, fino a quando la scienza non interviene a togliere ogni dubbio possibile sulla paternità, è per tradizione «incertus». Il bambino, al contrario di quanto comunemente si sostiene, chiede di essere ingannato. È disposto a credere che i doni siano portati da Gesù Bambino o da Santa Lucia, purché i genitori non c'entrino. Cosa che è ben lontana dal significare un rifiuto della realtà. Mi è capitata l'osservazione di due casi in cui il rifiuto dei «veri genitori» comportava l'accettazione piena dei fatti. Un bambino, adottato come in seguito il secondo «fratellino», e allevato nella mitizzazione di una nascita avvenuta da un «amore attraverso la scelta», così chiamavano i genitori la sua adozione, anche perché grazie a conoscenze lo avevano potuto selezionare biondo bello e di madre sicura, si è rifiutato fino al diciottesimo anno non solo di recepire il continuo parlare dei genitori a proposito della sua adozione ma anche di prendere atto dell'adozione del nuovo bambino, e sostiene attualmente di aver sempre ritenuto propri genitori i genitori adottivi. Non si trattava dunque di cercare altrove una fantasia, quella che nutre il romanzo familiare dei nevrotici, ma di restare tenacemente attaccato alla realtà che gli si presentava, giacché questa gli permetteva di «disconoscere» in modo sottile ma perfetto, i suoi veri genitori. Un altro bambino, figlio di un precedente uomo della madre, rifiuta di prendere atto di non essere figlio del61

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