Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

sana, appare per la prima volta la figura del gestore della tecnica, di un intermediario che avrà non poche conseguenze nello sviluppo successivo del bambino. Per esempio un'improvvisa incapacità a disegnare dopo esordi magari facili e promettenti, l'incapacità a durare, soprattutto dopo inizi brillanti: ma come ti sei già stancato di pattinare, giocare a tennis, eccetera, dopo aver preteso tutta ! 'attrezzatura necessaria. La protesi non funziona più come la particella di artificiale, e di inanimato che si imlerva nell'animato a ricordare il destino dell'uomo già nel suo sorgere come soggetto: «Ma la sedia ha il fapipì?», ricordiamo il piccolo Hans, dove ne viene presentato il rovescio, un qualcosa di plastico, di morbido, di caldo che fa da protesi vivente all'inanimato. Diviene piuttosto l'emblema dell'impossibilità che tra animato, il soggetto, e l'inanimato, le cose, ci sia un rapporto di scambio e di contatto. La barriera del Dazio viene allora a separare il soggetto non più solo dalla possibilità dell'incesto, ma da una vita che non sia tutta dalla parte dello sguardo dalla finestra. La scena che si apre non fa che essere la riproposizione di quel luogo. Il pensiero, nato nel luogo della fobia, non diviene intelligenza. Nello stessomodo, l'animale che nel disegno della pianta del Dazio rappresentava il vivente, torna nei sogni degli analizzanti a suggerire la minaccia, il lupo che si aggira lungo un muro di pietra a guardia di una barriera rigida. Tutta la natura è solo una scena limitata da una cornice. Quegli stessi confini che sembravano posti a impedire gli «eccessi» segnano lo spazio dell'esercizio dispotico e violento di un amore primario devastante e distruggitare che si accompagna all'impossibilità di spostarsi dal territorio prefissato. Ed è qui, in questa contiguità tra limitazione di eccessi ed esercizio dispotico che troviamo il primonucleo di qualcosa che ci apparirà più chiaramen59

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