Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

ra non esclude la «somiglianza» fra i due amanti, al contrario la presuppone. Ed è ancora la poesia a illuminare questo potere della somiglianza: lo attinge nell'ira di Armida, la quale si vede, in un delirio d'amore («ed io pur ancor l'amo»), a gareggiare in crudeltà con Rinaldo: «Già 'l giungo, e 'l prendo, e 'l cor gli svello, e sparte le membra appendo, ai dispietati essempio. Mastro è di ferità? vuo' superarlo ne l'arti sue...». (XVI, 64) Nel secondo dialogo si nega che «mai l'odio distrugga l'amore», il quale ha il suo contrario solo nellamorte. Tutti gli amori particolari possono finire, certo, ma la natura d'amore non può finire nell'odio; alla stessa stregua, la forma di morte che si oppone ad amore è la fine di tutte le cose. Amore è qualità dell'essere, e se l'odio potesse distruggerlo, distruggerebbe l'essere stesso. Dunque la contrarietà non è né può trovarsi propriamente fra l'odio e l'amore, perché la contrarietà conviene a quelle nature che possono esser ridutte in alcuno ordine de le cose. Ma l'amore non sta ne gli ordini, ma tutti gli trapassa e gli trascende in quella stessa guisa che suol fare l'ente, di cui è passione. Così è chiarita la più eroica delle cinquanta conclusioni amorose: «L'odio non esser contrario d'amore, ma seguace d'amore» (XII). Si dica dunque che ogni amore particolare può finire, ma l'odio non gli si oppone, anzi appartiene alla sua natura, che si esalta nell'«eccesso» delle contrarietà. Il Bruno discerneva l'animad'amore in questo eroico eccesso: «Non è nella temperanza della medio43

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