Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

Ma forse Rinaldo non conosce il vero amore: è troppo arrendevole nel piacere, troppo incline a emozioni affettuose. Prova solo compassione per la donna che sta per abbandonare: si svia (e si assolve) in un «tenero affetto» che la donna disprezza - finché cerca la verità dei desideri corrisposti. I «miracoli d'amore» che raccontano i poeti - dice la conclusione trentaseiesima - sono veri: e la poesia può dare la misura di questa verità «secondo il suo più esatto modo, cioè che l'amante divegna la cosa amata». La più vera pena d'amore sta nel desiderare perdutamente - come Armida - che avvenga un simile miracolo. Allora, in questa tormentata approssimazione della poesia al modo esatto della verità, non può «darsi amore senza ira» (conclusione XXXVIII). Questa s'insinua anche nei piaceri, perché talora l'amante sfoga la propria pena nel godere della pena dell'altro, o la identifica con una sensazione dolorosa, che gli accade di provare, di cercare, nel piacere dell'altro. Così ogni amante è desiderato per il suo piacere e per il suo dolore, e il desiderio reciproco si consuma in un intrico dei pensieri e dei sensi, dove non si dà «alcuna pura e sincera allegrezza» (conclusione XXVIl)19 • Armida si sente mossa da un'ira troppo lenta, «neghittosa», nell'offesa, perché sa bene come poteva «incrudelire» nel piacere d'amore, quandoRinaldo era in suo dominio: «... Ma dove son? che parlo? Misera Armida, allor dovevi, e degno ben era, in quel crudele incrudelire che tu prigion l'avesti; or tardo sdegno t'infiamma, e movi neghittosa a l'ire». (XVI, 64-65) Sia nella Molza che nel Cataneo, si fa intendere che l'i42

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