Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

via dalla violenza di un satiro (Aminta, atto III, vv. 36-120). La voce di Tirsi - narratore testimone- indugia e s'avvolge attorno al bel corpo di Silvia, allo stesso modo, si direbbe, dei giunchi e del cinto che legano all'albero la ninfa, e dei capelli che la stringono «in mille nodi». Qui si concentra una capacità di plastiche figurazioni, avvivata ora dalla trepidazione dei sensi di Aminta, ora dallo sdegno e la vergogna di Silvia, che prima si contorce con pena contro il «duro tronco» e cerca di nascondere come può il «delicato seno», di difenderlo dai «cupidi occhi» del giovane, e poi, come si sente libere le mani, si fa imperiosa - «Pastor, non mi toccar»-, e infine, «senza dire '-A dio-», fugge «com'una cerva», pur essendo sicura del «rispetto d'Aminta». Domina sui modi narrativi una nitida vibrante impressione visiva, per cui sembra quasi di avvertire la presenza delle figure umane e delle cose che Tirsi va ricordando: Ecco miriamo a un arbore legata la giovinetta ignuda come nacque A fronte a fronte un satiro villan noi le vedemmo egli [Aminta] rivolse i cupidi occhi in quelle membra belle, che, come suole tremolare il latte ne' giunchi, sì parean morbide e bianche; e tutto 'l vidi sfavillar ne 'l viso. La qualità lirica di tutta la pagina si accentua in quest'ultimo particolare, e, per così dire, si svela nel segno soggettivo del narratore, che incrocia lo sguardo con quello del suo eroe e ne rispecchia e condivide il piacere. E, una volta svelato, il segno soggettivo-lirico - della parte33

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