Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

gono, si affrontano e mutualmente prevalgono, a segnare il destino dell'uomo e del suo mondo, Eros, il prepotente istinto di vita, il perpetuo agitarsi della materia vivente, e l'inesorabile Thanatos, l'istinto di morte, cupamente ricorrente come forza d'inerzia, cupidigia di dissolvimento, ansietà di pace. L'uomo sarebbe però naturalmente attrezzato per pagare quotidianamente il suo debito alla morte senza perdersi, per appagare il suo desiderio regressivo senza lasciarsene travolgere. È nel sonno e nel coito, infatti, che egli ritornerebbe in un certo senso alla madre. Nel sonno ricostituendo il vellutato ambiente-uterino nel giaciglio più confortevole, piegando il tronco e gli arti nelle aggomitolate positure fetali, allontanando e smorzando ogni fastidiosa stimolazione, chiedendo il tepore prenatale, oltre che alle più soffici coperture, all'intimo contatto della persona con cui sente di potersi meglio fondere. Nel coito, tornando realmente in un grembo, che, come s'è detto, è pur sempre quello materno, sia per il maschio, che vi si proietta con tutto se stessomediante il suo alter ego fallico, che per la femmina che con lui s'identifica al tempo stesso che per lui si fa alcova, cuccia e tana. Anche chi non ha potuto godere, come i più, di una madre sufficientemente buona, sentirà ovviamente la stessa pulsione ad aggrapparsi a qualcuno o a qualcosa che la sostituisca nelle traversie della vita. Ascoltiamo come un poeta grande quanto grande nevrotico, figlio di una cattiva madre, esprima questo bisogno in una famosa pagina del suo Zibaldone: 190 Cangiando spesse volte il luogo della mia dimora, e fermandomi dove più dove meno o mesi o anni, m'avvidi che io non mi trovava mai contento, mai nel mio centro, mai naturalizzato in luogo alcuno, comunque per altro ottimo, finattantoché io non aveva delle rimembranze da attaccare a

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