Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

ne definita, dunque, come questo nulla dell'accadere dove i soggetti sono presi in cura dalle parole e prendono esse in cura; ciò autorizza il battesimo aurorale di Anna O.: la «talking cure». Freud cita, inoltre, il Faust goethiano: «...una specie di magia. Lei parla e ogni male dilegua». Certamente, la nostra esperienza ci insegna che si tratta da una magia assai lunga e faticosa; proprio il contrario, quindi, di una magia. Perché far riferimento alla magia della parola in questo contesto? Non intendo sollevare il problema, d'altronde ben conosciuto, del significato magico che può essere attribuito alla parola nel pensiero onnipotente infantile, o nevrotico, o ancor di più, psicotico. Voglio piuttosto menzionare molto brevemente la credenza di certe teorie e di certe pratiche psicoanalitiche nella magia della parola. Credenza che non è, a ben vedere, un retaggio freudiano. Ho bisogno, per comodità espositiva, di un esempio e lo scelgo classico, da una autrice che tanto ha contribuito alla conoscenza dei vissuti infantili, nella fattispecie la psicoanalista austriaca Melanie Klein. Ma è bene che sia chiaro che questo tipo di «magia» che ascrivo, in questo caso, alla Klein, non è un patrimonio esclusivo né della autrice in causa, né di una teoria psicoanalitica in particolare. Esempi di questa specie si ritrovano costantemente nel lavoro analitico. Il libro di M. Klein Narrative of a child analysis, del 1961, è molto conosciuto e questo facilita il compito di offrire l'esempio senza che ci sia bisogno di spiegarlo e contestualizzarlo. Come è noto si tratta del relato dell'analisi di un bambino, Richard, di dieci anni di età, che fu portato dalla Klein per un'analisi breve (novantatrè sedute in tutto), analisi che si svolse mentre infuriavano i bombardamenti della seconda guerra sull'Inghilterra, dove già abitava l'analista. Ella aveva conservato le note delle se178

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