Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

di trastulli han bisogno/ né di nutrici con blande e tenere voci... »2s Dante trova un ancoraggio alla lingua nell'essere stesso, e l'essere stesso è saldamente e amorosamente ancorato alla lingua, a quella lingua che è i. l volgare, in quanto «locutio» che lo ha generato. Da questo amore che àncora l'essere egli trarrà l'ispirazione per innalzare la «locutio» a «eloquentia», a espressione d'arte. La sua opera è la storia ineguagliata di questa trasformazione. Ciò che poteva apparire all'inizio del trattato sul volgare come una contraddizione: richiamare alla vita la lingua adamitica universale nel resoconto della genesi e di Babele, per poi rivendicare il volgare elevato ad espressione artistica, si rivela una feconda soluzione. L'invocazione dell'Uno originario è solo il salvacondotto che consente la creazione di una lingua nuova. La magia della parola Nel 1926 Freud dà alla stampa un testo: La questione dell'analisi laica (Die Frage der Laienanalyse) che è simultaneamente un pamphlet, elaborato come un colloquio immaginario. Si trattava, allora, di difendere la psicoanalisi dalla medicalizzazione. Alcuni paragrafi del testo ci danno lo spunto per una breve riflessione conclusiva. «Nella confessione- scrive Freud - il peccatore dice quello che sa; nell'analisi il nevrotico deve dire qualcosa di più...». E l'interlocutore immaginario risponde: «...che cosa può significare: di più di quanto si sa?». E ancora: «Fra paziente e analista non accade nulla, se non che parlano fra loro[...] L'analista riceve il malato in una data ora del giorno e lo lascia parlare, lo sta ad ascoltare, poi gli parla a sua volta ed è l'ammalato che ascolta[...] Parole, parole ed ancor sempre parole, come dice A�leto». L'analisi vie177

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