Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

Se la favella originaria, la lingua adamitica, universale e aderente alla cosa, è definitivamente perduta per la comunicazione e le espressioni degli uomini, da ciò che non ci è stato sottratto, ossia dalla facoltà di linguaggio, è necessario trarre profitto. Ragion per cui, dopo essere stato costretto, anche quando «l'animo rifugga», per ragioni di metodo espositivo e per dare fondamento alla propria ricerca, a «rinnovare l'onta del genere umano» ricordando l'Uno dell'origine e l'esilio successivo «dalla patria delle delizie», Dante imposta la sua ricerca sulla diversità, e non sull'Uno18 . «Son io che devo ora cimentare la ragione che ho, intendendo condurre una ricerca intorno a materia in cui non ho appoggio sull'autorità di alcuno, cioè intorno al successivo diversificarsi di quello che da principio era un solo e medesimo idioma» (corsivo mio)19 . Senza appoggio sull'autorità di alcuno, senza il sostegno delle Scritture, che gli viene a mancare proprio dove deve cominciare a costruire la sua opera. Ma egli può contare sulla garanzia di averne fatto tesoro accettando l'esilio, rinunciando alla conoscenza superba. Non a caso Adamo ricorda a Dante: "Or, figliuol mio, non il gustar del legno 115 fu per sé la cagion di tanto esilio, ma solamente il trapassar del segno"20 Il trapassar del segno che il Naturante tracciava alla conoscenza dell'uomo, il voler portare oltre il limite consentito «l'arte sua» spiega un tale esilio dal Paradiso e dalla lingua universale, seguendo la concezione di San Tommaso. È il peccato di superbia, la dissennatezza che si rivela nella sfida al Padre che sarà punita. Da dove risulta - tenendo presente ciò che è stato avanzato sull'interpretazione bioniana dei miti della Genesi e di Babele - che anche Bion, non solo Dante, è discepolo di San Tommaso. 174

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