Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

e se dopo il Seicento essa non dichiarerà apertamente la propria natura, basterà avvicinare l'oggetto per scoprire, come nelle figure anamorfiche, l'immagine riposta. Dalle quasi infinite configurazioni che l'immaginario umano ha disegnato per esprimere questa nostalgia delTutto-Uno dell'universalità della lingua e della sua trasparente e immediata aderenza alla cosa, ce n'è una che su tutte si distingue per i suoi valori estetici e per l'originalità specifica dell'atto creativo. Con il diritto che la sua epoca abbondantemente gli concede, Dante non esita a cantare la lingua originaria prima della «prevaricationem», del peccato originale. L'interesse straordinario della sua concezione risiede nella qualità superba del canto stesso, accresciuta però, se ciò è possibile, dalla singolarità del complessivo progetto. Se «All'uomo solo fu concesso di parlare...», « ...in quale lingua è sgorgata la prima parola»16? Sappiamo che Dante, in De vulgari eloquentia, descrive la favella di Adamo come un dono ricevuto direttamente da Dio e rimasto immutato fino a Babele. Questa lingua originaria corrispondeva, in quel testo, all'ebraico. Nei vent'anni, all'incirca, trascorsi tra la redazione del trattato sul volgare e quella dei canti finali del Paradiso, quest'idea si era trasformata: la lingua universale che precedette Babele è confermata, ma essa si spegne successivamente senza lasciar tracce: La lingua che io parlai fu tutta spenta 124 innanzi che all'ovra inconsummabile fosse la gente di Nembrotto attenta; Pria ch'io scendessi all'infernale ambascia 133 I s'appellava in Terra il sommo bene onde vien la letizia che mi fascia; e El si chiamò poi: e ciò conviene, 136 ché l'uso dei mortali è come fronda in ramo, che sen va e l'altra viene17 • 173

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