Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

frammenta sul modello dei frantumi verbali della lingua Una, condizione infelice e caotica di psicotici e di afasici. Non è nemmeno, o non soltanto, il nome metaforico della felicità, comunque sofferta e laboriosa, di chi, riuscendo a congiungere i rivoli delle diverse lingue che lo abitano, riesce a fertilizzare il proprio linguaggio creativo. Bebele è anche evocazione e nostalgia di ciò che fu nel primo tempo del mito, e questo richiamo segreto, quasi sempre silente, trova modo di farsi sentire nel cuore di tante teorie. La teoria della traduzione, la teoria linguistica, la teoria e la pratica psicoanalitica stessa, i discorsi dei nostri pazienti e i nostri discorsi. Dante e la lingua adamitica L'ipotesi innanzi articolata sul mito di Babele porta a concludere che il mito istituisce, nella sua enunciazione, l'illusione retroattiva dell'Uno. Questa chimera postula sia l'esistenza di una primigenia lingua universale, quella del Creatore, che una trasparenza e corrispondenza tra le parole e le cose. L'harmonia mundi abbisogna della lingua universale. È necessario ricordare che questo fantasma, che abita nellamente degli uomini sin dall'antichità, e che paradossalmente continua a fiorire nell'invenzione di lingue, nella creazione letteraria e filosofica e in mille altre modalità dell'immaginario, non trova alcun appiglio nella ricerca specialistica? L'unicità della specie e la facoltà del linguaggio, come attitudine iscritta nel codice genetico e attualizzata nello scambio sociale, sono attestate. Niente autorizza però a confondere la facoltà del linguaggio, comune a tutta la specie, con le lingue che ne sono la realizzazione effettiva e molteplice. Ma ciò che la ragione esclude si rigenera nell'illusione, 172

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