Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

I testi ebraici marginali riportano la storia di Lilith che, a causa di un dissidio con Adamo, invoca il nome ineffabile del Creatore. Punita, diventa uccello e deve volar via dal paradiso. I figli della coppia originaria dimenticano il nome indicibile. Questa variante del giardino dell'Eden evidenzia la funzione della rimozione. Paradossalmente l'esilio, la castrazione, la rimozione, la cecità sono necessarie perché necessario è per conoscere che ci sia un limite, un taglio che assicura l'opportunità di distaccarsi dall'identico, dall'uguale a sé stesso, dall'indifferenziato, da ciò che non ha legge, un limite che garantisce che ci sia un ordinamento irreversibilmente istituito (Freud, op. cit.). Se si accetta la funzione essenziale del limite istituito, come condizione necessaria perché ci sia desiderio e conoscenza, è possibile concordare con Bion circa il fatto che per conoscere è necessario tollerare la frustrazione e il dolore che implica l'abbandono del già noto, dell'identico. Quest'Uno primordiale e mitico, luogo del desiderio fusionale, non è, paradossalmente, se ci atteniamo a ciò che ci insegna la clinica delle psicosi, altro che fonte di vertigine e di panico. Solo dopo il clivaggio e la rimozione esso sarà fonte di nostalgia, richiamo del paradiso immaginario dal quale siamo stati esiliati. È in questa seconda funzione che il mito di Babele, postulando all'indietro una lingua originaria unica, una lingua adamitica, una«Ur-Sprache», dà voce a sua volta a una miriade di tentativi di restituzione, di ricreazione, di restauro, di ciò che non è mai stato se non nel mito stesso, ma che non per questo vede intaccata la sua forza e il suo richiamo. Il mito di Babele non è dunque solo metafora di una condizione particolare di alcuni esseri umani che sembrano illustrare nella propria carne la diversità dei nomi del mondo. Non è solo figura dell'essere che si disperde e si 171

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