Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

«richiama alla vita» (nel senso in cui M. Eliade concepiva una ontologia «arcaica», pre-temporale in senso lato) un tempo che esiste, per l'appunto, solo grazie al mitomedesimo, esplicita la «nostalgia dell'eterno ritorno» alla harmonia mundi. Esprime la fantasia che soddisfa, analiticamente parlando, desideri fusionali. Il versante «progressivo», invece, sancisce un'impossibilità, un'impossibilità che non è solo di fatto, ma è di diritto. Di diritto nel senso in cui Freud scrive in Il disagio della civiltà che la più alta pretesa della civiltà è la realizzazione della legalità, il compimento della legge. Il mito è anche, quindi, enunciazione della legge, demarcazione del limite, segnale di confine. Perché, infatti, che altro è, in questa prospettiva, l'azione che provoca una punizione e introduce un clivaggio, azione che acquista il valore della causa che provoca la dispersione degli uomini e la confusione delle lingue - perché l'uomo «presunse dunque in cuor suo, incorreggibile ... di vincere coll'arte sua non solo la natura, ma anche lo stesso Naturante che è Dio...»15 -se non un limite? L'interpretazione del mito di Babele, e di quello di Edipo e del giardino dell'Eden, avanzata da Bion, mette in primo piano il carattere violento e sovvertitore della curiosità per relegare in un secondo piano il delitto sessuale. Bion vuole identificare nella sete di conoscenza un movente autonomo. In realtà la distinzione tra due piani è innecessaria poiché i due piani sono identici: il delitto sessuale e la curiosità arrogante sono una cosa sola. Per questo motivo, Bion identifica nell'esilio risultante l'elemento comune ai tre miti. Ciò che non viene però convenientemente discriminato è che la conoscenza possibile è la conseguenza del1'esilio, lo deve presupporre per esistere. L'esilio è come l'Esodo, una via d'uscita, nel senso in cui Lévi-Strauss riteneva il mito un ponte logico tra un problema iniziale e uno derivato. L'esilio è la chiave di volta del problema. 170

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