Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

to, infelice quanto si vuole, nel quale le lingue e i popoli si moltiplicano e si disperdono sul mondo, senza capirsi. In mezzo, l'azione e la punizione corrispondente rendono ragione, nel senso eziologico, del tutto. Questa struttura peculiare, sulla quale penso non ci si è soffermati abbastanza né in campo antropologico né in campo psicoanalitico, è tale che, nello stesso momento in cui nega, afferma. Babele dice che le favelle sono tante, e questa è una constatazione (si nega che ce ne sia una sola), ma dice simultaneamente che una ci fu, che l'Uno primordiale esistette all'origine, prima della frammentazione, e questa è un'invenzione. L'invenzione propone, anzi, fa vivere, l'inesistente. Mai ci fu una favella unica fino a quando Babele non la inventò. Ma da allora essa esiste e ha una vita propria e rigogliosa. Babele nel mito offre così una risposta, si può fondatamente postulare, a un bisogno che l'immaginario soddisfa per mezzo della retroazione, retroazione che è il risultato dell'enunciazione del mito stesso: adesso non c'è più, ma una volta ci fu. E nella misura in cui questo stato immaginario ideale e perduto vive nel mito, esso vive per davvero, poiché l'enunciazione del mito opera una tramutazione essenziale: consente certamente l'appagamento del desiderio nel mito stesso (come d'altronde sostiene Freud che avviene nella fantasia o nel sogno), ma soprattutto assicura al bisogno immaginario che esprime e soddisfa, un valore simbolico. Questo significa che, dal momento in cui un mito (ma anche una metafora o un simbolo) vede la luce, esso entra a far parte di un universo simbolico all'interno del quale dispiega tutte le sue virtualità simboliche potenziali e produce i suoi effetti; effetti che dipendono dalle connessioni privilegiate che intreccia còn gli altri elementi dello stesso universo. Il versante «regressivo» del mito, nella misura in cui 169

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