Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

zione mediante la quale gli elementi sono collegati in ciascuna storia. L'importanza relativa degli elementi dipenderà dalla natura delle esplorazioni per la quale vengono usati e dal fatto scelto per dare coerenza agli elementi quando essi sono re-integrati nel processo dell'analisi»10. Ho citato per esteso questo paragrafo poiché esso rende evidente da una parte la sostanziale continuità teorica del modello interpretativo bioniano dei miti con i modelli di Freud e di Klein, ma dall'altra lascia intravvedere alcune differenze suggestive. In primo luogo va rilevato che Bion parla in questo testo del lavoro interpretativo sia nella praticapsicoanalitica che nei miti, e ciò è possibile perché gli elementi dei miti possono essere adoperati come rappresentazioni a scopo simbolico. In secondo luogo, c'è una grande possibilità di combinatorie privilegiate tra gli elementi del mito, e questi si organizzano secondo le forme della narrativa che li collegano. In terzo luogo, è presente un' attività comparativa e associativa di insiemi di miti e viene abbozzato un meccanismo di trasformazione, che opera nel pensiero mitico e nel processo di analisi. Ma forse l'aspetto più saliente e nuovo del trattamento bioniano del mito è l'implicita esaltazione della sua virtualità simbolica. È questo il valore primario attribuitogli anche dall'antropologo D. Sperber quando scrive che: «ogni mito può suggerire altre simmetrie, altre opposizioni, altre interpretazioni di quella proposta, giacché un mito ha delle virtualità simboliche per cui non è possibile attribuirgli un modello strutturale unico e definitivo. Il compito del mitologo è quello di rendere conto di questo carattere di virtualità simbolica»11. Il mitologo e lo psicoanalista convergono quindi nello sfruttamento della possibilità di rilettura del mito, nell'uso della sua potenzialità trasformativa. Bion dà grande rilievo all'istinto epistemofilico come 166

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==