Il piccolo Hans - anno XVII - n. 69 - primavera 1991

sto caso, se dichiarata, essa sarà immediatamente relegata nel limbo della follia, nello spazio incerto delle utopie, ai margini di ogni sapere1 • Se invece si insinua con discrezione nel corpo delle teorie più disparate, la passione della lingua originaria riesce a far vivere il mito ostinato dell'Uno, il mito della lingua universale a cui, nella nostra cultura, si addice il nome di Babele. Forse ogni cultura ha una sua versione del mito di Babele e una spiegazione di come le favelle, schegge impazzite nate dalla frammentazione dell'Uno primordiale, abbiano fecondato la terra. Questo è un quesito etnografico. Ma è fuor di dubbio che si tratta di un mito che ha avuto grande diffusione in versioni diverse e che fa parte integrante di quel gruppo di miti «delle origini» profondamente radicati nella cultura. Il problema che propone Babele nel mito esula di gran lunga dal campo specifico della mitologia e il suo rilievo nel tempo è aumentato. Sappiamo dalla Genesi che Adamo era onomateta del1'opera divina, egli infatti pone i nomi a ciascuno degli uccelli del cielo, a ciascun animale della campagna e, «qualunque nome Adamo ponesse a ciascun animale», esso era il suo nome2 • E parlando tutti i figli della coppia originaria la stessa lingua, essi si impegnano nella costruzione di una città e di una torre «la cui sommità giunga fino al cielo», per acquistare fama, o per farsi un nome. Dio, sceso sulla terra per vedere la città e la torre, decide di confondere «la lor favella, acciocché l'uno non intenda la favella dell'altro. E il Signore li disperse di là sopra la faccia di tutta la terra, ed essi cessarono di edificar la città. Perciò essa fu nominata Babilonia (cioè confusione)»3. La confusione invoca Babele e Babele gioca sulla confusione, che si annidanella stessa versione biblica. Infatti, se Babele deriva dal latino biblico Babel-elis, dall'ebraico Ba.bel, dal babilonese Bab-ilu «porta del dio (Marduk)» 161

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