Occorre dunque auscultare la voce che arriva di lontano, da dietro il discorso-schermo con cui Montaigne si protegge dai propri fantasmi. La vittoria della ragione sulle tendenze profonde è fragile, limitata, continuamente rimessa in questione. E contro l'assurda scommessa della volontà cosciente di dire l'inconscio, i mostri che lo scrittore non può «mettre en rolle» lasciano tuttavia una traccia in questo lavoro che mira a metterli in fuga. Intendo una traccia precisa, individuabile in un determinato testo, in un determinato momento, e significativa solo di ciò che accade hic et nunc nel processo di produzione del senso: in nessun caso cercherei di desumere, da tali segni, conclusioni che investano la totalità dell'opera o implichino un giudizio clinico sull'individuo. Voglio dire: se in quel brano, in quella frase, è identificabile la vertigine del sadismo, non ne dedurrei che Montaigne-il quale si rivelerà diverso in un luogo testualmente diverso (pertanto non incompatibile)-fosse «fondamentalmente» sadico... Ciò valga a proposito non solo di alcune applicazioni della psicoanalisi al testo letterario (che strumentalizzano il testo a fini psicologico-biografici), ma soprattutto del vezzo di alcuni montaignisti che usano raggelare un effato fuggevole in dettame definitivo, inchiodare l'autore a questa o quella mossa e magari assumerla ad «air universel» per coordinare e interpretare tutti i suoi atteggiamenti (II, 1, 3156) - lui che non intendeva rappresentare «l'estre» ma descrivere «le passage» di giorno in giorno, di minuto in minuto, persuaso che «Nous sommes tous de lopins, et d'une contexture si informe et diverse, que chaque piece, chaque moment, faict son jeu» (ibid. 321a), e che sia impossibile «voir deux opinions semblables exactement, non seulement en divers hommes, mais en mesme homme à diverses heures» (III, 13, 10446). L'individuo - come dicevo poco fa-è solo una molteplicità incomprensibile di soggetti istantanei, un mosaico di je 119
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